Quando nelle nostre riunioni o nei nostri ambienti parliamo dei giovani sembra quasi che ci stiamo riferendo ad «razza in estinzione». Infatti argomentiamo come se tra l’età degli adulti e quella dei bambini, ci fosse una fascia assente, quella dei giovani appunto, anche perché viene considerata, superficialmente, una tappa di transizione. Nelle nostre iniziative ed attività noi adulti  quasi con accanimento  e sicuramente con ossessione cerchiamo di conservare strutture, metodi,  orari e forme e il tutto sta diventando sempre più impegnativo da portare avanti e da rispettare. In particolare alla resa dei conti, nel momento del bisogno ci si rende conto che mancano animatori giovani, catechisti giovani; i ragazzi dei gruppi giovanili, a cui avevamo dato vita, oggi hanno superato i 40 anni e i bambini ci vedono e li vedono come loro nonni e forse anche di più.

Viviamo lamentandoci che la gioventù è persa, che la colpa è della famiglia e abbiamo nostalgia del passato, considerandolo come un tempo migliore. Succede però che quando viene da noi un giovane con il desiderio di collaborare, lo assilliamo con tutte le proposte parrocchiali…«Hai fatto la prima comunione? Vieni a messa? Ti invito nel mio gruppo…». Se poi il ragazzo vuole dedicarsi a qualche esperienza missionaria, anche solo fuori dalla propria parrocchia, o dedicarsi ai poveri o alle mense Caritas del quartiere, gli mettiamo la stanga nelle ruote con una serie di difficoltà: «Devi prima formarti…non sei preparato… devi  prima farti un’ esperienza». E il ragazzo, che era animato da tanto entusiasmo, finisce per fermarsi nella piazzetta del quartiere dove, senza essere assillato da tante domande e richieste, può ascoltare musica con i suoi amici e condividere con loro una birra. Ma è davvero tanto difficile essere un giovane cristiano nella Chiesa di oggi rimanendo un giovane normale e non un superman cattolico? Sembra di sì! Camminando per le strade del mio quartiere della grande periferia di Buenos Aires, incontro giovani di diverse categorie. Alcuni bighellonando in cerca di opportunità con qualche stralunato che fa bella mostra dei capi firmati che indossa o del cellulare ultimo modello, della macchina o della moto nuova di zecca. Altri, all’angolo della strada osservano con aria di sufficienza gruppi di loro coetanei che fanno giocare i bambini del quartiere ed è  evidente che non avranno mai il coraggio di unirsi a loro anche se  invitati.

Vedo anche un’altra categoria di giovani, frettolosi, dirigersi verso le proprie case. Stanno ritornando dal lavoro, e tra poco usciranno pronti per andare alle scuole serali. È evidente sul loro viso la stanchezza del giorno, ma anche il poco cibo che hanno potuto consumare.

In tutta la mia esperienza di pastorale giovanile come figlia dell’oratorio ho sempre avuto la percezione che nelle nostre comunità basterebbe poco per riaccendere la passione per questa «razza in estinzione», succederebbe quello che può provocare un fiammifero acceso in un pagliaio: un grande falò.

I giovani del nostro tempo hanno il loro modo di essere presenti, di stare insieme, di condividere. Camminando per le strade del nostro quartiere spesso mi domando quale sarebbe l’attitudine di san Vincenzo Grossi se fosse presente oggi. La riposta mi viene quando, salutando le persone, tutti rispondono. Quando alcuni escono dal gruppetto di amici per abbracciarti e per chiederti la benedizione. Quando Tucho, uscendo dal mercato  generale tutto sporco e stanchissimo, mi viene incontro a braccia aperte e mi dice: «Suora mia, quanto ti voglio bene!». Quando Analia, partita per la Provincia di Corrientes per una missione con la sua scuola, mi manda una chat ringraziandomi per le precedenti missioni organizzate a cui ha potuto partecipare, dove è nata la sua vocazione missionaria di oggi. Quando camminando a Lujan, in mezzo a centinaia di giovani, qualcuno grida il tuo nome e senza darti la possibilità e il tempo di capire chi è ti senti stretta tra due forti braccia e incontri due occhi pieni di lacrime per l’emozione. È Patrizia, che ha frequentato il Collegio  Vincenzo Grossi ed ora fa parte dello staff organizzativo del Pellegrinaggio dei giovani.

Una volta si incendiò una fabbrica vicino alla nostra casa e andammo a vedere che cosa potevamo fare per aiutare. Un gruppo di ex insegnanti della nostra scuola dell’infanzia e alcune ex frequentanti del nostro oratorio si trovavano presenti ed erano coinvolte. Mettemmo a disposizione dei pompieri le nostre pompe per prendere l’acqua e mentre osservavo tutto questo movimento  ho riconosciuto tra i pompieri Juanma, che aveva frequentato il nostro oratorio e che aveva partecipato ai nostri incontri e alle missioni. Fu emozionato quando mi riconobbe e mi disse: «Dovevi esserci. Non potevi mancare».

Le necessità dei giovani di oggi sono le stesse di quelle dei tempi di Gesù, di Vincenzo Grossi e di qualsiasi situazione sociale si presenti. Sentirsi amati, contare per qualcuno, non essere giudicati, sapere che, al di là di tutto, anche dopo cento cadute, tu sarai sempre presente per dar loro una mano.

Fare progetti per i giovani è una bella iniziativa, ma se non cammini sulle loro stesse strade, se non conosci il loro contesto familiare, dove e come vivono, che cosa fanno quando non sono a scuola e nel gruppo, forse ancora una volta finirai per essere un illuso, una illusa.

La mia opzione come figlia dell’Oratorio continua ad essere la missione per e con i giovani, non solo dei «nostri ambienti» ma anche verso quelli, che come si diceva un po’ di tempo fa, sono oltre il muretto, quelli che stanno fuori, che non si adattano a uno schema prefissato, a quelli che si incontrano fuori dalle nostre chiese e anche dal nostro quartiere. Ma con una consegna: «Semina senza voltarti indietro… Il Seminatore è Lui!».

Hna Stella Maris

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