Un liquido informe (Dilexit nos 2)
Zygmunt Baumann, uno dei più importanti sociologi e pensatori del novecento, già nel decennio scorso sosteneva che “tutti i punti di riferimento che davano solidità al mondo e favorivano la logica nella selezione delle strategie di vita (i posti di lavoro, le capacità, i legami personali, i modelli di convenienza e decoro, i concetti di salute e malattia, i valori che si pensava andassero coltivati e i modi collaudati per farlo), tutti questi e molti altri punti di riferimento un tempo stabili sembrano in piena trasformazione. Questa nostra epoca eccelle nello smantellare le strutture e nel liquefare i modelli, ogni tipo di struttura e ogni tipo di modello, con casualità e senza preavviso”.
In questo consiste la società liquida: la velocità regna sovrana, i cambiamenti sono continui, c’è una trasformazione costante a cui facciamo fatica a stare dietro, a tenerne il passo, con grandi ricadute sulla nostra vita e le nostre relazioni. Vengono a mancare punti di riferimento stabili e chiari, nulla sembra più in grado di darci una sicurezza duratura. Le nostre identità sono frammentate come le tessere di un mosaico che però non si incastrano più. È il mondo del mordi e fuggi, della precarietà e della provvisorietà, dove il «per sempre» fa paura, dove il progresso, che fino a ieri era percepito come foriero di miglioramenti, è avvertito come minaccioso e incontrollabile. «In questo mondo liquido è necessario parlare nuovamente del cuore» (DN 9).
È necessario farlo perché in una realtà dove tutto è mercificato, dove non c’è una redistribuzione equa delle ricchezze e delle possibilità, chi non produce si trasforma in scarto, in rifiuto della società. Per evitare questa follia, che ogni giorno si consuma sotto i nostri occhi, occorre che «tutte le azioni siano poste sotto il dominio politico del cuore, che l’aggressività e i desideri ossessivi trovino pace nel bene maggiore che il cuore offre loro e nella forza che ha contro i mali; che l’intelligenza e la volontà si mettano al suo servizio, sentendo e gustando le verità piuttosto che volerle dominare» (DN 13) .
Occorrono persone attente alla complessità, non superficiali, che non si accontentino di felicità consolatorie ed illusorie, capaci di andare oltre il numero e la massa, con l’interesse ad ogni singolo uomo e a ogni singola donna. C’è bisogno di persone sapienti, cioè capaci di rimanere al loro posto con serenità e fermezza in mezzo ai flutti del mondo, col coraggio di stare fuori dalle mode passeggere, coscienti che quando le cose invecchiano rapidamente non hanno un fondamento solido. Persone che ridiano centralità e spazio al cuore, perché ormai è chiaro che «non trovando un posto per il cuore, non è stata sviluppata nemmeno l’idea di un centro personale in cui l’unica realtà che può unificare tutto è, in definitiva, l’amore» (DN 10).
In un mondo dove tutto scorre e nulla sembra sedimentare, è importante imparare a distinguere l’essenziale dalla vanità, la banalità da quello che conta davvero. Raimon Panikkar, a una domanda su questo tempo di crisi, rispose che «la più grave epidemia del mondo contemporaneo è la superficialità», il non cercare il midollo delle cose, rimanere fermi alla crosta, alla scorza, senza trovare nulla che unifichi, il cuore appunto. «Quando non viene apprezzato lo specifico del cuore, perdiamo le risposte che l’intelligenza da sola non può dare, perdiamo l’incontro con gli altri, perdiamo la poesia. E perdiamo la storia e le nostre storie, perché la vera avventura personale è quella che si costruisce a partire dal cuore. Alla fine della vita conterà solo questo» (DN 11).