Quale novità ha portato VG per il suo tempo nella chiesa e nella società
Don Vincenzo è stato nell’ombra, non per una scelta particolare, ma semplicemente perché al tempo i preti erano numerosi, i mezzi di diffusione delle notizie erano pochissimi e se uno non brillava particolarmente per qualche impresa pastorale o intellettuale originale, rimaneva un illustre sconosciuto per le cronache dell’epoca. Dopo la sua morte ha seguito l’iter di tanti altri sacerdoti zelanti la cui memoria rimaneva viva nel ricordo dei parrocchiani. Tra le suore da lui fondate nulla più di aneddoti, racconti di esortazioni, ricordi di raccomandazioni affidate alla trasmissione orale. Nel 1944 quando le sue spoglie sono state traslate dal cimitero di Vicobellignano a quello di Lodi si è risvegliata l’attenzione su di lui: c’erano dei progetti importanti se, in tempo di guerra, era stata mossa la macchina per questo evento. Venivano avviati i processi diocesani di canonizzazione.
Oggi che lo veneriamo santo della Chiesa universale ci poniamo una domanda: se tanto è stato riconosciuto che cosa ha portato di nuovo per il suo tempo nella chiesa e nella società?
Il 1800 è stato un secolo che ha pullulato di fondazioni, specie nel nord Italia. I Vescovi le guardavano con attenzione e timore per i più svariati motivi, da quello economico a quello spirituale, al discernimento della originalità carismatica.
Don Vincenzo è stato originale o ha clonato altre congregazioni?
Sappiamo che per le prime suore ha usato le regole delle Orsoline di sant’Angela Merici e questo potrebbe indurre a pensare che non è stato così innovativo.
Ma perché il Vescovo Bonomelli, che di fondazioni se ne intendeva, nel 1901 ha confermato la bontà della iniziativa di don Vincenzo approvandola e raccomandandola?
Tanti Istituti si occupavano della formazione cristiana della gioventù, per una contingenza socio-politica, tanti collaboravano in parrocchia a motivo delle nuove restrizioni governative che pesavano sull’assetto parrocchiale… Tutti avviavano attività proprie per questi scopi… ma don Vincenzo che cosa ha fatto di nuovo?
Ha pensato ad una fondazione di consacrate senza che fossero suore esteriormente, come i comuni fedeli, nell’abito, nell’abitazione, nelle attività, nella pratica religiosa. È il motivo per cui i Vescovi di Guastalla, Reggio Emilia e Modena hanno chiesto, senza soffermarsi sulle sottigliezze, la loro presenza. Queste nuove suore non chiedevano uno stipendio alle parrocchie, non si appoggiavano a benefattori, vivevano del loro lavoro.
Poteva apparire una fondazione poco attrattiva, poco garantista per i suoi membri, poco influente socialmente. Si sa di alcune candidate della prima ora che hanno incontrato la resistenza delle famiglie perché la nuova congregazione non rispondeva ai canoni classici: strutture private, abiti monacali, dote adeguata, attività proficue e stimate.
Don Vincenzo è stato in anticipo sui tempi degli istituti cosiddetti «secolari». Ha progettato una forma di vita religiosa «inserita, incorporata» sul territorio, nella parrocchia, senza che ne avesse i caratteri esteriori classici. Naturalmente non aveva come scopo quello di essere originale e creativo, ma si è lasciato colpire da una «forte impressione» e ha avuto «una idea», quella di fare qualcosa in aiuto ai sacerdoti. Non nonostante loro, non oltre loro… ma «complementari a loro».