L’ecumenismo nelle nostre radici

In occasione della settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani, riportiamo alla luce un aspetto del ministero di don Vincenzo Grossi che ben si colloca in questo contesto. Il Vescovo Bonomelli nella lettera in cui gli chiede di andare parroco a Vicobellignano non cita in modo esplicito la presenza in parrocchia di un pastore protestante e di una comunità di suoi seguaci abbastanza numerosa ed attiva.

Non doveva essere, comunque, per il presule una situazione indolore perché il pastore protestante era stato chiamato dai fedeli della parrocchia per contrasti con il parroco e, più in profondità, per manifestare in modo eclatante il loro distacco dalla Chiesa istituzionale.

Don Vincenzo entra a Vicobellignano non prevenuto, né attrezzato per contrastare questa situazione e meno ancora in un atteggiamento di pregiudizio verso le persone che ne erano protagoniste.

«Devono sapere che amo anche loro» è stato il suo principio ispiratore. E se anche ai tempi e per ancora molti decenni si pregava e si operava perché tutti i cristiani «separati» entrassero a far parte del medesimo «ovile», don Vincenzo non si è mosso in questa  dinamica.  Ha stabilito fondamentalmente rapporti di cordialità e di amicizia con i responsabili e di apertura con i fedeli. Ha, sicuramente, cercato di prevenire la diffusione dell’«errore», come era definito l’indirizzo ispiratore dei protestanti,  promuovendo iniziative di consolidamento della pratica della fede soprattutto nei giovani, ma senza creare barriere.

Nella mente di don Vincenzo l’«errore» era nella separazione fra le chiese e nelle motivazioni che l’avevano prodotta, ma i protestanti di Vicobellignano non erano sicuramente guidati da questi fatti storici. Per don Vincenzo l’«errore» poteva essere stata la scelta di alcuni parrocchiani di dissociarsi dalle direttive del parroco e di contrapporsi alla sua autorità con una diversa appartenenza cristiana. Si trattava pertanto di recuperare la fiducia dei fedeli e l’autorevolezza con gesti concreti di apertura.

Oggi noi viviamo in un contesto sociale multietnico e plurireligioso e il rischio è quello di ritenere che il rispetto sia la forma unica e adeguata per convivere. A volte, però, rispetto diventa sinonimo di indifferenza o di estraneità dalla vita e dalle vicende di queste persone.

Perché non recuperare le parole di don Vincenzo «devono sapere che amo anche loro» e far fiorire  spazi e iniziative di accoglienza e di condivisione  dove la religione non è una barriera ma una rete di ponti che consentono l’incontro? Perchè unità non è uniformità!

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