Abiti vecchi e tessuti nuovi
Abiti vecchi e pezze nuove.
Da poco più di un anno la nostra famiglia religiosa ha accolto alcune nuove candidate che stanno inserendosi gradualmente nei processi formativi, secondo gli itinerari previsti.
In un tempo in cui le speranze sembrano affievolirsi, questi segnali annunciano speranza: le suore anziane guardano a loro come a chi può colmare i vuoti che si moltiplicano; quelle di mezza età confidano in una ventata di nuove energie… le nuove candidate si sentono caricate di tante aspettative di futuro.
Il Vangelo suggerisce: “non si mette una toppa nuova su un vestito vecchio”.
Parole di grande buon senso! Se per gli otri e il vino, il Vangelo ha una soluzione per non incorrere in alcun danno – vino nuovo in otri nuovi, dice! -, nel caso degli abiti vecchi non offre suggerimenti. Come fare allora per aggiustare l’abito vecchio?
Forse sdrucire la pezza nuova perché si adatti sul tessuto già consunto? O continuare a indossare gli abiti vecchi, ignorando gli strappi e la possibilità di poter disporre di pezze nuove? O eliminare gli abiti vecchi e confezionarne dei nuovi per tutti evitando così l’operazione del mettere pezze?
Si tratta di proposte paradossali, perché l’abito della parabola non è un indumento che si toglie e si mette, ma è la vita delle persone, e ce la portiamo addosso come la pelle.
Potrebbe essere utile, fuori di metafora, sanare, da una parte, ogni forma di aspettativa che tende ad attribuire a queste nuove presenze una grande funzionalità – prendono il nostro posto! hanno nuove energie! – e aiutare le nuove candidate a non essere assorbite da questo meccanismo limitativo e strategico pensando che il loro contributo potrebbe essere decisivo in questa fase .
È più facile omologarsi al sistema, perché l’integrazione e la complementarietà siano indolori per le une e gratificanti per le altre.
Si tratta di entrare, le suore della vecchia guardia e le nuove candidate, in un cammino di sano realismo, di recupero della verità storica e teologica di questo tempo.
Perché non provare a dimenticare il copione della nostra storia anche recente, a superare i modi con cui abbiamo coniugato la vita religiosa nei diversi periodi, a sbarazzarci delle sovrastrutture pseudo-spirituali con cui abbiamo rivestito le relazioni umane ad intra e ad extra, a riportare il carisma alla sua semplicità di dono da condividere e non di cose da fare, a riscoprirci discepole e non maestre?
Tutte, vestiti vecchi e tessuti nuovi, siamo chiamate a tornare all’Alleanza: «sarai il mio popolo e io sarò il tuo Dio» e nel silenzio delle nostre case parlare con Dio e parlare tra noi di Lui.
In questo modo potremmo cessare di sentirci, dalle più cariche di anni di consacrazione alle news entry, degli operatori a fine corsa o delle nuove reclute in rodaggio, per essere invece semplicemente e pienamente discepole del Maestro.