Giubileo 2025: sdegno, intolleranza, imprudenza e inquietudine
Nei giorni scorsi è iniziato ufficialmente il Giubileo del 2025, con l’apertura della porta Santa nella basilica di San Pietro la notte di Natale e quella nella casa circondariale di Rebibbia il giorno di Santo Stefano. Nei prossimi giorni si apriranno altre porte sante nelle diocesi di tutto il mondo.
È noto che il tema che caratterizzerà questo anno santo è la speranza. Troppo spesso questa virtù è confusa con un mero ottimismo fine a se stesso, con un lieto fine da attendere passivamente o l’happy end di un film. La vita, nella sua spietatezza, ci mette continuamente davanti alla mancanza di questo lieto fine, non di rado la nostra attesa non termina con lo sperato – ma irreale – «e vissero felici e contenti».
Speranza, secondo papa Francesco, è sinonimo di SDEGNO: la speranza «ci chiede di sdegnarci per le cose che non vanno e avere il coraggio di cambiarle; di farci pellegrini alla ricerca della verità, sognatori mai stanchi».
Ancora, è sinonimo di INTOLLERANZA: la speranza «non tollera l’indolenza del sedentario e la pigrizia di chi si è sistemato nelle proprie comodità – e tanti di noi abbiamo il pericolo di sistemarci nelle nostre comodità».
La speranza è IMPRUDENZA, perché «non ammette la falsa prudenza di chi non si sbilancia per paura di compromettersi e il calcolo di chi pensa solo a sé stesso».
È INQUIETUDINE, perché incompatibile col quieto vivere di chi non alza la voce contro il male e contro le ingiustizie consumate sulla pelle dei più poveri. Al contrario, la speranza cristiana, esige da noi l’audacia di anticipare oggi questa promessa, attraverso la nostra responsabilità e la nostra compassione”. Ci chiama ad essere «donne e uomini che si lasciano inquietare dal sogno di Dio, che è il sogno di un mondo nuovo, dove regnano la pace e la giustizia».
La speranza dunque è un appello alla nostra responsabilità, è un pungolo che ci tiene svegli, che deve toglierci la tranquillità passiva della nostra zona di confort. È un invito a uno sguardo attento, largo e non ripiegato, che si fa carico del dolore degli altri, che sa vedere le ingiustizie, che non si chiude nelle quattro mura delle proprie sicurezze. È facile parlare di speranza quando non si hanno problemi, o si hanno i mezzi per affrontarli. Un detto popolare dice che «quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare». E noi stiamo vivendo tempi duri, in cui la rassegnazione e la disperazione sono sempre in agguato e colpiscono quasi con violenza e davanti ai quali ci sentiamo impotenti. Proprio questo tempo «disperato» «ci chiama al rinnovamento spirituale e ci impegna nella trasformazione del mondo, perché questo diventi davvero un tempo giubilare: lo diventi per la nostra madre Terra, deturpata dalla logica del profitto; lo diventi per i Paesi più poveri, gravati da debiti ingiusti; lo diventi per tutti coloro che sono prigionieri di vecchie e nuove schiavitù. A noi, tutti, il dono e l’impegno di portare speranza là dove è stata perduta».