Nella solennità di tutti i Santi

La Solennità di tutti i Santi è una delle poche feste religiose considerate anche civile, e la società, meglio il marketing, la satura di riti festaioli e vacanzieri. Noi, cristiani, le diamo significato con la liturgia che ci propone la lettura della pagina delle Beatitudini.

È il primo discorso pubblico di Gesù e vi esprime tutta la sua genialità. Non è un discorso per presentare un Regolamento. Infatti non imposta il suo progetto su una morale umana, non fa la sintesi di precetti o divieti, di cui rendere conto, ma annuncia una lieta notizia: Dio cambia la tristezza, ogni tristezza, in motivo di gioia.

Le sue parole sono una cascata di felicità: beati voi, ripete per ben otto volte, perché Gesù vuole che tutti i suoi ascoltatori sappiano che Dio vuole figli felici.

Le beatitudini, così le abbiamo chiamate, non evocano cose straordinarie: raccontano vicende di tutti i giorni, una trama di situazioni comuni, fatte di fatiche e di speranze, di impegno duro e di tenerezza, di lacrime e di vicende a lieto fine: nostro pa­ne quotidiano. Nel suo elenco ci siamo tutti:

Le beatitudini sono aperte alla speranza e alla fiducia in un mondo che non è e non sarà, né oggi né domani, sotto la legge del più ricco e del più forte, del più astuto, perché il mondo appartiene a chi lo rende migliore.

La vocazione universale alla santità può essere ben interpretata da questo slogan: se non puoi essere un abete sul monte, sii una ramazza in fondo alla valle, ma la miglior ramazza.

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