La conversione delle relazioni: dal clericalismo alla corresponsabilità

Nel post precedente abbiamo già fatto presente quanto l’assemblea sinodale abbia insistito sull’urgenza di una conversione ecclesiale che coinvolga ogni aspetto della vita del popolo di Dio, a partire dalle relazioni. Non solo quelle personali, ma anche quelle che si giocano a partire dai ministeri e dai servizi che ciascuno svolge all’interno della comunità, da quello episcopale a quello di ogni battezzato.

Etimologicamente, «ministero» significa servizio. Il riferimento è al Signore Gesù, che non è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita per molti. Questo vale per tutti, sia per i cosiddetti ministeri ordinati che per quelli istituiti e quelli de facto.

Al n. 70, il documento finale sottolinea che «quello del Vescovo è un servizio nella, con e per la comunità». La prassi ordinaria non è solita assegnare un Vescovo originario della diocesi che sarà chiamato a guidare. Ma chi conosce davvero la realtà diocesana e la sua storia è la comunità che ci vive. I Vescovi, ma questo vale anche per i presbiteri nelle parrocchie, vanno e vengono, non sono stabiliti per sempre in una chiesa locale. Possono cambiare. Ma la comunità – di fedeli e presbiteri – resta ed è a lei che tocca fronteggiare i problemi, farsi carico delle difficoltà, portare avanti l’evangelizzazione, proseguire il cammino, dandogli continuità e stabilità. «Per questo – prosegue il n. 70 – l’Assemblea sinodale auspica che il Popolo di Dio abbia maggiore voce nella scelta dei Vescovi». È una richiesta degna di nota, perché fa vedere qual è la conversione relazionale di cui la chiesa ha bisogno: non più rapporti che vanno dall’alto verso il basso in modo unidirezionale, ma un circolo virtuoso di ascolto reciproco, in cui non c’è uno che decide per tutti ma, al contrario, col contributo di tutti al discernimento, si giunge a una decisione condivisa. Questo stile, che non è un inno all’anarchia ma alla compartecipazione, chiama in causa anche i presbiteri e i diaconi, chiamati – dice il n. 74 – «a riscoprire la corresponsabilità nell’esercizio del ministero, che richiede anche la collaborazione con gli altri membri del Popolo di Dio. Una distribuzione più articolata dei compiti e delle responsabilità, un discernimento più coraggioso di ciò che appartiene in proprio al Ministero ordinato e di ciò che può e deve essere delegato ad altri, ne favorirà l’esercizio in modo spiritualmente più sano e pastoralmente più dinamico in ciascuno dei suoi ordini. Questa prospettiva non mancherà di avere un impatto sui processi decisionali caratterizzati da uno stile più chiaramente sinodale. Aiuterà anche a superare il clericalismo inteso come uso del potere a proprio vantaggio e distorsione dell’autorità della Chiesa che è servizio al Popolo di Dio. Esso si esprime soprattutto negli abusi sessuali, economici, di coscienza e di potere da parte dei Ministri della Chiesa». «Il clericalismo, favorito sia dagli stessi Sacerdoti sia dai Laici, genera una scissione nel Corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare molti dei mali che oggi denunciamo» (Francesco, Lettera al Popolo di Dio, 20 agosto 2018).

Definire il clero e i laici come due generi di cristiani («Duo sunt genera christianorum» è scritto nel Decretum Gratiani del XII secolo) che differiscono ontologicamente (LG n.10) ha creato una spaccatura che ha oscurato la dignità battesimale dei fedeli non ordinati. I tre “munera cristologici” (il sacerdozio, la profezia, la regalità), pur essendo relativi al sacramento del battesimo e non a quello dell’ordine, sono stati in qualche modo relegati solo al clero. Una conversione relazionale autentica dovrà passare inevitabilmente da questa cruna. Solo così «la Chiesa, “popolo radunato nell’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (LG 4), può dare testimonianza della forza di relazioni fondate nella Trinità» (n. 34), che, nel linguaggio teologico specifico, è caratterizzata dalla «pericoresi», dall’appartenersi a vicenda in una circolarità d’amore che unifica e valorizza le differenze senza appiattirle.

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