In giro…. o… in uscita?
Un verbo che interpreta la giornata o la settimana o le stagioni di don Vincenzo potrebbe essere un verbo di movimento. La sua corrispondenza è disseminata di «verrò, andrò…devo andare…aspettami….sono appena tornato…incontrerò…mi aspettano…passerò da voi…ci incontreremo…».
Di fronte a tutto questo suo andirivieni, potrebbero aver ragione quanti affermavano che in parrocchia… c’era poco. Sappiamo che quando si assentava, cercava sempre un sacerdote che lo sostituisse, e se si allontanava non era solo per occuparsi della nuova fondazione, ma altrettanto frequentemente era a motivo della predicazione.
Per questo si può affermare che i verbi che lo interpretano non sono solo di movimento ma di incontro.
Si decide di «uscire» per stemperare la fatica e la tensione, per uno svago, per riempire il tempo, per recuperare forze ed equilibrio. Quando don Vincenzo è stato invitato a prendersi una vacanza in montagna, vi è rimasto solo due giorni, perché diceva, «non mi piace stare a “bere aria” oziosamente».
Uscire, quindi, con la modalità dell’incontro, percorrere la strada accorgendoci degli altri: un sorriso, un saluto, un cenno della mano, una precedenza data…c’è un linguaggio dei gesti a volte più comunicativo ed efficace delle parole.
I semplici e gli umili lo fanno!
Un giorno mentre ero di ritorno in comunità assorta nei miei pensieri, Santino, uno dei tanti clochard del quartiere, mi si è parato davanti chiedendomi perché ero tanto seria. E senza aspettare la mia risposta, mi ha raccontato che lui era contento perché aveva già raccolto le monete necessarie per comprarsi un panino per il pranzo ed era fiducioso che con qualche altra monetina avrebbe messo a posto anche la cena.
Non mi ha chiesto degli spiccioli, ma tirandomi fuori dalla mia chiusura, è come se avesse mendicato una attenzione gratuita che avrebbe reso piena la sua “contentezza” di quel giorno.
Si può essere “fuori”, ma solo in giro. L’uscire chiede l’incontro.