Dal Sinodo finito alla sinodalità vissuta
Il 27 ottobre u.s. è giunta a termine la seconda sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che chiude il lungo cammino del Sinodo sulla sinodalità, iniziato a ottobre del 2021. Tre anni in cui ci si è dedicati all’ascolto del Popolo di Dio, che ha fatto emergere esigenze e urgenze di cambiamento, in cui si è presa forse più coscienza che la Chiesa di Dio non è proprietà di qualcuno ma è di tutti e tutte e che non ci sono carismi o persone di serie A e di serie B, le prime magari chiamate a prendere decisioni e le seconde solo ad obbedire ciecamente. Il contributo di ciascuno è importante, almeno sulla carta.
I passi da fare sono ancora molti prima di poter dare per assodate una mentalità e una prassi veramente sinodali, ma – mutuando il nome del nostro blog – la via è aperta. Il documento finale del Sinodo, che raccoglie il frutto del lavoro di questi anni, è un passo importante per abbattere il muro che impediva il cammino verso la sinodalità. Un segnale significativo e assolutamente non trascurabile è la scelta di papa Francesco di non scrivere un’esortazione apostolica a partire dal documento finale approvato dall’Assemblea Sinodale, ma di mettere immediatamente a disposizione di tutti il Documento stesso, dove ci sono già indicazioni molto concrete che possono essere di guida per la missione delle Chiese, nei diversi continenti, nei diversi contesti. «Voglio – dice Francesco – riconoscere il valore del cammino sinodale compiuto, che tramite questo Documento consegno al santo popolo fedele di Dio». Per la prima volta diventa «Magistero della Chiesa», cioè «insegnamento fedele alla Tradizione», un testo che non è solo parola di uomini ordinati (Papa e vescovi), ma anche di laici e laiche, religiosi e religiose. Una piccola, grande svolta.
Qualcuno potrebbe obiettare che il Sinodo non ha portato a nessuna scelta concreta, che la montagna ha partorito il topolino. Potrebbe essere. Ma di sicuro questo Sinodo ha avviato un processo – ci auguriamo irreversibile – per far emergere il cambio di mentalità – detto anche conversione – che ci è richiesto, per passare dai Sinodi alla sinodalità. E sappiamo bene che un cambio di mentalità, soprattutto per un’istituzione grande e diffusa nel mondo quale è la Chiesa, non è realizzabile in tempi rapidi, non è un fungo che nasce e cresce dalla sera alla mattina, che un attimo prima non c’è e poi magicamente appare. È appunto un processo, in cui occorre ascoltare, convocare, discernere, decidere e valutare. E in questi passi sono necessari le pause, i silenzi, la preghiera. «È uno stile – afferma il Pontefice – che stiamo apprendendo insieme, un po’ alla volta. Lo Spirito Santo ci chiama e ci sostiene in un questo apprendimento, che dobbiamo comprendere come processo di conversione».
E altrettanto chiaramente Francesco aggiunge che «alla luce di quanto emerso dal cammino sinodale, ci sono e ci saranno decisioni da prendere. La chiesa sinodale per la missione, ora, ha bisogno che le parole condivise siano accompagnate dai fatti. E questo è il cammino».