Qual è l’ultimo libro che hai letto?

Nell’estate che sta volgendo al termine, papa Francesco ha scritto una lettera sul ruolo della letteratura nella formazione, sull’importanza della lettura di romanzi e poesie. Era riferita principalmente ai futuri presbiteri, ma lui stesso ha sottolineato che queste cose si possono dire circa la formazione di tutti gli agenti pastorali, come pure di qualsiasi cristiano. Per questo, anche noi vogliamo offrire qualche spunto di riflessione utile – speriamo! – alla cura della nostra vocazione di FdO.

Francesco disapprova che la letteratura venga banalmente considerata una forma di intrattenimento, un’espressione minore della cultura che non apparterrebbe al cammino di preparazione e dunque all’esperienza pastorale concreta degli operatori pastorali, qualcosa di non essenziale. Sottolinea al contrario come la lettura ci apra nuovi spazi interiori che ci aiutano ad evitare una chiusura in quelle poche idee ossessive che ci intrappolano in maniera inesorabile. Abbiamo urgente bisogno di leggere, pena un grave impoverimento intellettuale e spirituale e una visione fossilizzata e imbalsamata del mondo, delle persone, delle cose.

L’art. 91 delle nostre vecchie Costituzioni diceva che «per un’efficace azione educativa è necessario che i giovani si sentano amati e dunque esortava non solo a stare con loro, ma a condividerne gli interessi». Detto in altre parole, non possiamo non entrare in dialogo con la cultura del nostro tempo, siamo chiamate a «condividerne gli interessi», in quanto anche nostri. La cultura è una delle manifestazioni della nostra umanità, che a sua volta è l’unico terreno dove il Vangelo può innestarsi. Per questo la letteratura non può essere ignorata, perché rimanda alla concretezza della vita delle persone, prende spunto dalla quotidianità della vita, dalle sue passioni e dalle sue vicende reali come «l’azione, il lavoro, l’amore, la morte e tutte le povere cose che riempiono la vita», quelle stesse povere cose che ci rendono umani e hanno reso umano Gesù. L’urgente compito dell’annuncio del Vangelo ci richiede l’impegno a che tutti possano incontrarsi con un Gesù Cristo fatto carne, fatto umano, fatto storia. Guai a perdere di vista la “carne” di Gesù Cristo: quella carne fatta di passioni, emozioni, sentimenti, racconti concreti, mani che toccano e guariscono, sguardi che liberano e incoraggiano, di ospitalità, di perdono, di indignazione, di coraggio, di intrepidezza: in una parola, di amore.

Uno dei segni da lui compiuti è la guarigione di un sordomuto. Noi, come quest’uomo, immersi nel caos quotidiano, non riusciamo a metterci in ascolto della nostra umanità ferita, rischiamo di essere sordi al grido e al gemito degli uomini e delle donne di oggi, ai desideri profondi che ci abitano. Incapaci di ascoltare, le nostre parole restano vuoti balbettii, vani riempitivi che non saziano e non dissetano, mutismi insipidi pieni di chiacchere. Infatti, come possiamo parlare al cuore degli uomini se ignoriamo, releghiamo o non valorizziamo “quelle parole” con cui hanno voluto manifestare e, perché no, rivelare il dramma del loro vivere e del loro sentire attraverso romanzi e poesie?

Non cadiamo nell’inganno citato all’inizio, del pensare che la lettura sia un optional di lusso o peggio ancora, una perdita di tempo. Un’assidua frequentazione della letteratura può rendere gli agenti pastorali più sensibili alla piena umanità del Signore Gesù, in cui si riversa pienamente la sua divinità.

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