Vicobellignano racconta… (Sui sentieri di don Vincenzo -1)

L’affetto e la devozione filiale oltre che il desiderio di ritornare alle origini storiche del carisma porta di tanto in tanto le sorelle o le comunità a ripercorrere i sentieri sui quali ha lasciato le sue orme il nostro san Vincenzo, luoghi che hanno segnato – di più! – hanno costruito la sua vita e la sua storia. La prima e più ovvia tappa è Vicobellignano.

Ma che cosa può raccontare ancora un paese di un suo parroco morto da più di un secolo?

La chiesa, la canonica, la tomba a Vicobellignano (CR) sono gli spazi che custodiscono la memoria di san Vincenzo Grossi.

Le persone, racconta l’attuale parroco, accendono molti lumini e si trattengono in preghiera davanti all’immagine di sant’Antonio, di santa Rita più che davanti alle reliquie del loro vecchio parroco, santo. Questo lo imbarazza e non si trattiene dal far notare ai suoi parrocchiani, con un po’ di ironia, che don Vincenzo è più disponibile dei santi degli altri altari laterali ai quali tutti si rivolgono, e avendo meno richieste di grazie è più disponibile ad esaudire più prontamente le loro preghiere.

San Vincenzo non si è mai preoccupato dei numeri in vita e meno ancora adesso. Resta lì, che siano pochi o tanti i suoi devoti, che si rivolgano a lui o che vadano oltre…, la sua benevolenza continua, perché un santo è un intercessore, non un ombroso.

Alla porta della canonica oggi bisogna suonare non una, ma due o tre volte prima di sentire una voce dall’interno che segnala la presenza di qualcuno in casa. La canonica di don Vincenzo non aveva i campanelli elettrici, né lui e la sua perpetua avevano il timore di visite di estranei: la porta era sempre aperta. Oggi accanto alla canonica ci sono spazi aperti, cortili, campi da gioco, saloni dedicati alla gioventù e alla aggregazione sociale: è lo stesso principio anche se coniugato in modo diverso e più efficiente.

La tomba dove don Vincenzo ha voluto essere sepolto è ancora conservata, anche se le sue spoglie dal 1944 si trovano a Lodi. È in mezzo, quasi schiacciata, tra le altre tombe, alcune anche monumentali. È un cimelio, e una iscrizione aggiornata ricorda il periodo della sua sepoltura. Girando lo sguardo sul piccolo cimitero non sfugge all’occhio la Cappella riservata ai sacerdoti ed è evidente il contrasto tra la maestosità sepolcrale della cappella e la ordinarietà di questa tomba. Umiltà? Necessità? Si possono fare tutte le ipotesi: la più scontata potrebbe essere che abbia scelto la tomba già utilizzata per la sorella Elisabetta, morta qualche decennio prima di lui. Scelta che avrebbe fatto chiunque, o meglio, chi non aveva bisogno di continuare, anche da morto, di sentirsi superiore agli altri per appartenenza, professione, merito.

Per rispondere alla domanda iniziale…

Sì, una paese può raccontare del passato anche lontano, dei suoi padri e dei suoi figli, perché la vita che hanno vissuto in questi luoghi è vita eterna, ha radici nella terra ma si protende verso il Cielo, è fissata nel Cielo.

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