7 novembre: una «solennità» per un santo… «normale»
Se qualcuno mi chiedesse di indicare la caratteristica più originale di san Vincenzo Grossi, abbandonerei le sue biografie, i panegirici su di lui, le varie conferenze volte ad evidenziarne la cura d’anime, la paternità, la spiritualità, l’ingegnosità e la temerarietà nel dar vita ad un istituto religioso …l’eroicità delle sue virtù.
Ripercorrerei la sua vita di prete senza aureola, nella quale è evidente che la sua caratteristica è stata quella di essere una persona «normale».
Se si leggono con attenzione le testimonianze, sotto sotto si coglie il desiderio di far emergere qualcosa di straordinario, ma poi, alzando lo sguardo dal libro, il lettore si ritrova a dire: ma questo lo hanno fatto tanti buoni preti.
Don Vincenzo è stato un prete normale, un buon prete.
Può forse questa espressione diminuire la considerazione della sua santità?
No, perché la storia sacra dell’umanità è costellata di uomini e donne normali che hanno tessuto la trama principale della storia di ogni tempo.
Era normale per un prete obbedire al Vescovo e lui lo ha fatto; era normale per un parroco farsi carico dei propri fedeli e lui lo ha fatto come ha potuto, con le sue capacità umane e di intelletto, era normale per un prete pregare e lui lo ha fatto, da solo col breviario e insieme ai suoi fedeli per le altre devozioni suggerite dalla spiritualità del tempo. Era normale per lui non vivere nell’agio e nell’abbondanza, dare ai poveri, vestire in modo modesto… avere una mensa parca, condividere con le comunità in difficoltà quanto ricavava dalla sua prebenda, anziché accumularlo.
Lo ammiriamo per questa caratteristica, così semplice ma non così scontata, e comprendiamo che per essere sue «figlie spirituali», questa è la strada che ha tracciato, queste sono le orme che ci ha lasciato: una vita normale coerente alla propria scelta di vita. Normale non significa banale.
Perchè Dio, saprà fare, se necessario, anche meraviglie! Perché è normale lasciare spazio alle opere di Dio!