L’eloquenza dell’amore (Un insolito evento in Paradiso – 10)
«Ho detto loro tante cose, Signore. Avevo paura di stancarle e appesantirle. Invece le ho trovate assetate e desiderose di ascoltarmi, animate da una sana curiosità, disponibili al confronto, a volte anche acceso, ma sempre onesto e sincero».
«Mi fa molto piacere sentirti dire così, ma non mi sorprende. La loro dedizione non è mai venuta meno. Hanno preso molto seriamente quello che tu hai lasciato detto loro: “Lavorate, lavorate, perché in paradiso bisogna andare stanchi”. Non mollano! Degne eredi del loro fondatore!».
«Dai, non farmi arrossire, i complimenti mi hanno sempre messo in imbarazzo! Meglio cambiare discorso! Un tema emerso in più di una comunità è stato quello della vita fraterna. È uno dei chiodi su cui ho battuto, mi sembra importante, non trovi?».
«Direi che non solo è importante, ma fondamentale. Sai bene che ho lasciato proprio questo come segno di riconoscimento: tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri. Il resto è importante, ma senza l’amore per i fratelli e le sorelle, tutte le opere sono vane. Prima hai citato tu san Paolo, ora lo cito io: Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi l’amore, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita».
«Mi rincuorano le tue parole, Signore. Credo non sia inutile aver fatto alle suore una precisazione linguistica, che va ben oltre la grammatica: non devono ritenere automaticamente identiche le espressioni “vita comunitaria” e “vita fraterna”. La prima può facilmente essere individuata in una serie di azioni – anche importanti, come il pregare e il mangiare – svolte in comune; la vita fraterna è molto di più, attiene alla qualità delle relazioni interpersonali, vissute in modo evangelico. Le ho provocate molto su questo aspetto, è troppo importante per darlo per assodato».
«Interessante, Vincenzo… e dimmi, loro come hanno reagito?».
All’inizio con qualche resistenza. Poi pian piano sono arrivate a porsi degli interrogativi sostanziosi. Stiamo operando nel senso di un progetto voluto di fraternità? Oppure ci siamo stabilizzate su schemi di convivenza di buon vicinato? La vita comunitaria assomiglia di più ad un contenitore da cui prendere quello che serve o a cui cedere qualcosa (nella misura in cui non rovina e non turba troppo le proprie abitudini e i propri stili di vita) o è un soggetto che stimola, che educa, che richiama alla fedeltà ed è oggetto di attenzione e di cura? Le relazioni sono autentiche o di facciata?
Sai, Signore, credo che in certi casi lasciarsi inquietare è più importante che trovare risposte. È segno che non ci si accontenta, che si è pronti a mettersi in discussione. È stata una grazia aver potuto assistere a questo confronto tra sorelle. Le ho viste coinvolte, consapevoli che è su questo che si gioca la loro adesione a Te. Penso che porterà buoni frutti».
«Un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Tu sai bene Vincenzo quello che hai seminato. Credo che il pellegrinaggio tra le tue figlie spirituali possa dirsi concluso. Hai incoraggiato e rassicurato i loro cuori, le hai condotte ad interrogarsi e hai favorito il confronto tra loro. Hai fatto un ottimo lavoro!».
«Spero tanto, Signore, di aver aiutato le Figlie dell’Oratorio a recuperare la consapevolezza, la gioia e la freschezza di questo immenso dono che abbiamo ricevuto con la chiamata alla consacrazione religiosa: essere memoria vivente di Te, del tuo modo di esistere, di amare e di agire, della tua incarnazione in mezzo agli uomini e alle donne del nostro tempo. E così sia!».