Fare l’amore senza fare l’amore (Condividere è… 2)
Inizio questo scritto in modo volutamente provocatorio e forse sfacciato, affermando che fare voto di castità significa fare l’amore. Sì, ne sono proprio convinta: castità ha a che vedere col fare l’amore, e se la scelta di una vita casta non porta a farne di più, meglio cambiare strada. Non sono impazzita. Non mi sono sbagliata. So benissimo che nella lingua italiana fare l’amore è un’espressione che si riferisce alla relazione sessuale e che questa dimensione è esclusa per chi, come me, sceglie la via dei voti religiosi.
Nell’immaginario collettivo, castità è sinonimo di assenza di una relazione con un partner e di una vita sessuale attiva. Forse per questo è facile associarla a freddezza, distanza, rigidità, distacco, impassibilità, controllo, indifferenza, chiusura, tutti segnali di una vita relazionale anestetizzata o addirittura morta, in cui non c’è spazio per l’amore e per l’altro/a. In realtà, la castità è la via per far crescere e maturare la capacità di amare. Come la pace, anche l’amore ha bisogno di essere «fatto», cioè realizzato e costruito, espresso nella concretezza del quotidiano e nella tangibilità delle relazioni. Fare voto di castità significa fare voto di amore, non di durezza di cuore: vuol dire scegliere di amare in modo totale, senza trattenere nulla per sé; amare sempre, amare chiunque, amare per scelta e non per caso, con tenerezza e cuore largo, orientando tutte le proprie energie a questo, dedicandosi a questo come unico scopo della vita.
Ma dove ha origine questo anelito? Perché rinunciare alla relazione con un uomo per far parte di una «famiglia allargata»? La scelta di questa via mi ha portato e mi porta davvero ad amare con autenticità o piuttosto a vivere col freno a mano tirato, senza mai espormi, senza giocarmi fino in fondo nei rapporti? Quando ho scelto la via dei voti, che cosa mi ha sostenuto, spinto e attratto?
Domande che mettono finalmente in campo il Signore e la fede, intesa come incontro con Lui: un incontro per me reale, che ha dato origine a un rapporto coinvolgente, che ha compreso e travolto anche la mia dimensione affettiva, una relazione in cui ho sentito di potermi fidare e consegnare: lì – in Lui – ho trovato dove riporre la mia sicurezza e la mia speranza.
«Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore».
Questa era la frase che mi ha accompagnato nei primi anni di vita religiosa, con quegli occhi e quel sorriso (vedi foto!) che dicevano che sì, quel tesoro l’avevo trovato, con la certezza granitica che non l’avrei mai più perso. Certezza che in questi anni è stata messa alla prova, vagliata dalla vita, a volte anche erosa e consumata dall’incomprensione, dalla fatica di credere, dal timore di aver sbagliato a puntare tutto sul Signore. Ma una certezza che si è anche purificata, che ha perso di idealismo e spiritualismo e che forse ha guadagnato in consapevolezza che non posso amare Dio senza conoscere me stessa e che non è vero che per amare Lui è necessario non amare nessuno. C’è un rapporto inscindibile tra amore di Dio e amore del prossimo, tra amor di Dio, del prossimo e di me stessa dentro le situazioni concrete dell’esistenza. Della mia esistenza.
Suor Federica