Non vediamo l’ora! (Un insolito evento in Paradiso – 5)
Le suore di Casa Madre non stavano più nella pelle per l’arrivo di don Vincenzo. Dalla portineria al refettorio e lungo tutti i corridoi, non si parlava d’altro. L’atmosfera era quella dell’attesa gioiosa, ogni sorella si preparava all’incontro con trepidazione e un pizzico di curiosità. Chissà cos’avrebbe detto loro il Fondatore! A qualcuna sorgevano nel cuore tante domande, che stimolavano il confronto aperto tra le suore:
«Secondo voi, siamo interpreti fedeli della missione che il Signore ci ha affidato tramite don Vincenzo? In fin dei conti, le cose dai suoi tempi a oggi sono profondamente cambiate. Non è sempre facile stare al passo con questo mondo che cambia tanto velocemente. Ci saremo riuscite, senza tradire le nostre origini?».
«Devi riconoscere che abbiamo sempre cercato di leggere i segni dei tempi e di incarnare il carisma anche nelle circostanze ben diverse da quelle in cui ha vissuto lui. Questo non si può negare»
«Certo, ma senz’altro il fondatore potrà illuminarci e aiutarci a guardare la realtà con sguardo più aperto. Ti ricordi la relazione di padre Marco Grega, che abbiamo ascoltato qualche mese fa? A me ha molto colpito e ricordo benissimo che nell’esporci qualche elemento che caratterizza la situazione attuale della vita religiosa, sottolineava come la realtà, anche la più avversa, è sovrana e che è luogo teologico. Piaccia o non piaccia, è lì che Dio si rivela».
«Ammetto che le parole di quella conferenza mi hanno aperto orizzonti nuovi. Mi hanno aiutata a guardare alla nostra situazione e alle incertezze del domani con meno timore. Sarebbe più facile vivere senza affrontare le novità e i cambiamenti, provando a dar continuità alle cose che abbiamo sempre fatto, mantenendo l’esistente. Ma è un’illusione, o forse ancor peggio, una tentazione. Mi viene in mente la moglie di Lot: rivolgendo il suo sguardo all’indietro si è trasformata in una statua di sale. Ed è proprio così che succede: la paura di lasciare andare le nostre sicurezze e certezze ci paralizza, ci fa chiudere in difesa, ci costringe alla conservazione anziché aprirci a orizzonti inediti e inesplorati».
«Hai proprio ragione! Aspetta, mi è arrivato un messaggio…vediamo chi è! Uff! Se è vero che è nella realtà che Dio si rivela, a noi lo fa coi vocali di suor Maria. La senti? È giù che ci aspetta per sistemare il salone. Dai, andiamo ad aiutarla».
«Sì, vengo, ma non posso fermarmi molto. Tra un’ora ho la riunione in oratorio con gli educatori degli adolescenti. Mamma mia, quando don Vincenzo sarà qui devo parlar con lui di questi giovani d’oggi. Spesso mi sento inadeguata e sento l’urgenza di trovare nuove modalità di incontro e di scambio con queste nuove generazioni. Per don Vincenzo era sufficiente chiamarli in canonica o radunarli in sacrestia. Oggi questo non basta più, non perché i ragazzi siano più cattivi di un tempo, ma perché il contesto è cambiato. Mi convinco sempre di più che dobbiamo andare a incontrarli lì dove sono, nei “loro” ambienti, compiere un esodo, uscire. Non basta più gettare le reti e “tirarli” verso di noi. Ma non è facile. Chissà lui cosa ne pensa?».
Questo il clima di Casa Madre, tra impegni ordinari e preparativi per l’accoglienza. Nelle altre comunità la fibrillazione non era da meno. Ovunque era un fermento di emozioni, un brulicare continuo, nonostante l’intenzione di don Vincenzo di non creare scompiglio. Un’intenzione un po’ ingenua, anche se fedele allo stile austero che aveva sempre caratterizzato l’umile prete originario di Pizzighettone. Come poteva pensare che le sue suore non dessero la massima importanza alla sua visita e che non diventasse questa il centro della loro attenzione? Assolutamente impossibile! Era un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire!