Tutt’altre cose
L’ultima catechesi sulla passione per l’evangelizzazione si è tenuta nel giorno in cui papa Francesco è stato ricoverato in ospedale per essere sottoposto a un intervento chirurgico. In quella mattinata del 7 giugno u.sc., ci ha presentato la figura di Santa Teresina di Lisieux, patrona delle missioni senza aver mai messo piede fuori dalla Francia. «Come si spiega, questo? Era una monaca carmelitana e la sua vita fu all’insegna della piccolezza e della debolezza: lei stessa si definiva “un piccolo granello di sabbia”. Di salute cagionevole, morì a soli 24 anni. Ma se il suo corpo era infermo, il suo cuore era vibrante, era missionario».
Il vangelo parla chiaramente di missione. Qualche giorno fa la liturgia domenicale ci presentava il brano in cui Gesù stesso spiega cosa significa e come vivere la missione: scacciare spiriti impuri, guarire ogni malattia e infermità, annunciare che il Regno di Dio è già qui e dare agli altri con la stessa gratuità con cui noi stessi abbiamo ricevuto. Missione è condividere con chi incontriamo nella nostra quotidianità quell’amore da cui ci sentiamo sostenuti e amati, è vivere la propria umanità in pienezza, permettendo di farla sbocciare e fiorire in noi stessi e negli altri. «I missionari, di cui Teresa è patrona, non sono solo quelli che fanno tanta strada, imparano lingue nuove, fanno opere di bene e sono bravi ad annunciare; no, missionario è anche chiunque vive, dove si trova, come strumento dell’amore di Dio; è chi fa di tutto perché, attraverso la sua testimonianza, la sua preghiera, la sua intercessione, Gesù passi». Tornano alla mente le parole di padre Leopoldo Pastori, indimenticato missionario lodigiano in Africa, che scriveva: «Vorrei tanto amare Gesù in modo che la gente si senta da Lui amata e possa vedere il Suo volto nei miei occhi. Io non faccio grandi cose, non ne sono capace. A me ciò che importa è portare Gesù ad ogni persona e mostrare a ognuno Gesù vivo e presente. E questo avviene facendo ogni cosa per amore, perché solo l’amore dà valore alle opere».
La differenza non la fa il luogo in cui si vive. Don Milani lo aveva capito bene quando fu esiliato a Barbiana, sperduta parrocchia di 30 anime sull’appennino toscano: «La grandezza di una vita non si misura dalla grandezza del luogo in cui si è svolta, ma da tutt’altre cose». Sono queste «tutt’altre cose» che danno alla Chiesa credibilità e autenticità, che la rendono bella e attraente perché radicata nel Vangelo: «Alla Chiesa, prima di tanti mezzi, metodi e strutture, che a volte distolgono dall’essenziale, occorrono cuori come quello di Teresa (o di Leopoldo, o di Lorenzo…), cuori che attirano all’amore e avvicinano a Dio». Cuori che sanno scegliere mettendo al primo posto non le strutture ma le persone, non il ritualismo ma l’incontro, non le prestazioni e i grandi numeri ma le relazioni. Cuori pienamente umani, liberi da formalismi e rigidità, accoglienti e aperti, senza paura della diversità. Solo «questo è lo zelo apostolico che, ricordiamolo sempre, non funziona mai per proselitismo – mai! – o per costrizione – mai! –, ma per attrazione: la fede nasce per attrazione, non si diventa cristiani perché forzati da qualcuno, no, ma perché toccati dall’amore» .