Contaminarsi
Matteo Ricci è la figura che viene presentata dal papa nel proseguire le sue catechesi sulla passione per l’evangelizzazione. L’opera di quest’uomo è contrassegnata in modo particolare da un aspetto che può essere illuminante anche per noi: l’inculturazione della fede cristiana in contesti differenti dalla propria appartenenza culturale. «Per inserirsi nella cultura e nella vita cinese (dove ha vissuto la sua missione) in un primo tempo si vestiva come i bonzi buddisti, all’usanza del Paese, ma poi capì che la via migliore era quella di assumere lo stile di vita e le vesti dei letterati, come i professori universitari, i letterati vestivano: e lui vestiva così. Studiò in modo approfondito i loro testi classici, così da poter presentare il cristianesimo in dialogo positivo con la loro saggezza confuciana e con gli usi e i costumi della società cinese. E questo si chiama un atteggiamento di inculturazione. Questo missionario ha saputo “inculturare” la fede cristiana in dialogo, come i Padri antichi con la cultura greca».
La via dell’inculturazione non è semplice né immediata. Richiede una grande capacità di dialogo e di osservazione e un rispetto profondo per chi si ha di fronte, senza cedere alla tentazione di giudicare una cultura e uno stile di vita differente dal proprio. È un vero e proprio stile, che impone di avere una identità ben salda e radicata che però non scada nella rigidità e nell’inflessibilità. La persona capace di inculturarsi è libera da etichette, non si ferma alla scorza delle cose, sa invece coglierne il valore profondo, ha uno sguardo che accoglie le differenze senza sminuirle ma valorizzandole.
Il tempo del covid ci aveva imposto le famose “bolle” in cui vivere: gruppi di persone che non avessero nessun tipo di contatto con altre, per non contaminarsi e non rischiare di ammalarsi. Sappiamo bene quanto questo abbia inciso sulle nostre relazioni: l’altro veniva guardato con sospetto, come portatore di un potenziale pericolo. L’unico luogo che veniva percepito sicuro era la nostra bolla. L’inculturazione è l’esatto contrario: il cristiano non ha bisogno di rinchiudersi in una bolla di persone che parlano, ragionano e scelgono tutte allo stesso modo, che vestono ugualmente, che si identificano nelle stesse regole e nella stessa visione della vita. Il vero cristiano non teme la diversità, non mira all’omologazione, non fa dell’uniformità lo scopo della vita. Vede la contaminazione come opportunità positiva di confronto e di condivisione, come ricchezza a cui attingere e non come pericolo da cui fuggire per mantenere una fantomatica purezza e inviolabilità. L’incarnazione del Verbo è il primo gesto divino di contaminazione da cui ha avuto origine la nostra salvezza, Gesù si è mescolato tra la gente, ha abbracciato i lebbrosi, si è lasciato toccare da donne impure, ha condiviso i pasti con peccatori e prostitute.
La vita religiosa ha bisogno di recuperare questo elemento contaminante. Il suo futuro è legato alla sua capacità di uscire dalle bolle delle proprie opere, di impastarsi del vissuto e della quotidianità della gente del nostro tempo. Lo stile tipico delle FdO è caratterizzato fin dall’inizio dall’intuizione di San Vincenzo di non avere un abito strettamente religioso, di non avere una cappella propria ma di pregare nelle parrocchie, con la gente, di non vivere in conventi ma in case. Modalità concrete per vivere l’inculturazione. Ne siamo ancora capaci? Il fondatore direbbe… la via è aperta! Andate!