Era un prete normale!
L’associazione del sacerdote alla sfera del sacro ha condizionato l’immaginario comune relegando il prete in un mondo a parte, conferendogli una immunità che lo ha allontanato dalla vita reale con cui tutti dobbiamo fare i conti, immunità che in alcuni casi si è trasformato in potere o abuso di potere.
L’ordinazione sacerdotale, anche se concede poteri straordinari, lo fa al solo fine del ministero da svolgere ma non trasforma la sua persona. La santità, a cui è chiamato per vocazione, non è un privilegio, ma si concretizza nel servizio che passa sempre attraverso la sua realtà fatta di carne e di spirito, di fragilità e di doni di grazia.
Liberato dai sacri paludamenti e riportato alla verità della sua realtà umana, facciamo però fatica a riconoscere il «carisma» del prete; il rapporto con lui può essere più faticoso o più deludente, ma complessivamente è più autentico e senz’altro più capace di testimoniare un vangelo non astratto.
Il cineasta Pupi Avati invitato all’incontro de La bottega delle idee del 23 marzo 2023, promosso dall’Ufficio catechistico nazionale, si rivolgeva ai presenti dicendo che quando va a confessarsi pone una premessa ed è questa: chiede a chi lo confessa se crede in Dio. Affermava infatti di chiedere esplicitamente: «Lei crede, lei crede in Dio, crede che ci sia una vita dopo la morte, che ci sia una risurrezione, crede nelle cose in cui siamo stati educati?» E continuava: «Io vedo che, nella risposta, c’è un volermi persuadere che questo prete crede, ma non è convincente. Quanto sarebbe più credibile un sacerdote che ti dicesse: io voglio credere, ma stento, fatico, è difficilissimo anche per me… E anche nelle omelie, se i sacerdoti esordissero dicendo: io vi capisco, anche per me è molto difficile credere, tutto diverrebbe più credibile».
Non si tratta di far atterrare i preti alla realtà dei comuni mortali, né di tollerare, con un po’ di misericordia, i loro difetti e i loro limiti. Se il prete da parte sua deve coltivare la sintonia del proprio cuore con l’esistenza mondana dei fratelli e con il mistero che essa racchiude, noi, da parte nostra, ci dobbiamo liberare da aspettative irreali nei loro confronti, dal giudizio scandalizzato se non rientrano nei parametri che abbiamo costruito per loro.
L’uno e gli altri spogliati dalle forme un po’ artificiose che spesso caratterizzano l’ambito del sacro, allora il Regno potrà crescere davvero.
Oggi, anniversario della ordinazione sacerdotale di san Vincenzo Grossi, voglio osservarlo dalla prospettiva di queste considerazioni.
Vorrei liberarlo non dall’aureola, ma dall’alone di straordinarietà prodigiosa con cui è stato circondato, che gli ha tolto la naturalezza della sua persona e vorrei guardarlo non secondo l’immaginario del «santo». Se mi soffermo sulla sua vicenda umana e sacerdotale lo posso scorgere in un «continuum» modesto ma costante al fianco dei suoi fedeli per condividere la fatica del credere e dell’amare e dello sperare, farlo insieme a loro e magari anche al loro posto.
«Era un prete normale», ha esordito un suo confratello nelle testimonianze e non sapeva di mettere in luce una sua qualità eccellente!