I segni del potere o il potere dei segni?
Proseguono le catechesi del papa sulla passione per l’evangelizzazione. Le parole pronunciate in quella di mercoledì 15 marzo u.s. invitano a riflettere su cosa significa essere apostoli, su chi sono e che stile sono chiamati ad avere. «Siamo consapevoli che l’essere apostoli riguarda ogni cristiano? Siamo consapevoli che riguarda ognuno di noi? In effetti, siamo chiamati ad essere apostoli – cioè inviati – in una Chiesa che nel Credo professiamo come apostolica». Sembra una domanda inutile. In realtà, è bene farsela, perché forse questa consapevolezza ha ancora bisogno di crescere e maturare. Segno ne è che in molte occasioni il pontefice ha parlato di clericalismo e di mondanità spirituale, definendoli una delle perversioni ecclesiali più difficili da togliere oggi. È l’atteggiamento che non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente (Lettera al Popolo di Dio). In molti fedeli – consacrati e laici – è ancora ben radicata l’immagine di una Chiesa piramidale e verticistica, dove chi sta più in alto ha più potere. Ma Francesco ribadisce che «nel quadro dell’unità della missione, la diversità di carismi e di ministeri non deve dar luogo, all’interno del corpo ecclesiale, a categorie privilegiate: qui non c’è una promozione, e quando tu concepisci la vita cristiana come una promozione, che quello che è di sopra comanda gli altri perché è riuscito ad arrampicarsi, questo non è cristianesimo. Questo è paganesimo puro. La vocazione cristiana non è una promozione per andare in su, no! È un’altra cosa».
Per troppo tempo nella Chiesa si è dato spazio a una visione sacralizzata del clero, ponendolo in una condizione di separatezza che lo isola e lo eleva dal popolo di Dio, facendo sì che il ministero battesimale che rende tutti sacerdoti, re e profeti fosse appannaggio esclusivo dello stato clericale. Ma ancora il papa incalza con altre domande (e risposte): «Chi ha più dignità, nella Chiesa: il vescovo, il sacerdote? No … tutti siamo cristiani al servizio degli altri. Chi è più importante, nella Chiesa: la suora o la persona comune, battezzata, il bambino, il vescovo? Tutti sono uguali, siamo uguali e quando una delle parti si crede più importante degli altri e un po’ alza il naso, sbaglia. Quella non è la vocazione di Gesù». Bisogna riconoscere l’azione dello Spirito che liberamente arricchisce di doni la sua Chiesa, per cui i ministeri sono distribuiti tra tutti i battezzati. Non sono competenza esclusiva di pochi eletti.
Francesco prosegue mettendo in evidenza che «la vocazione che Gesù dà, a tutti – ma anche a coloro che sembrano essere in posti più alti – è il servizio, servire gli altri, umiliarti». Per vivere il Vangelo occorre spogliarsi di ogni potere e riportare ogni ministero allo stato diaconale: «la vocazione di Dio è adorazione al Padre, amore alla comunità e servizio. Questo è essere apostoli, questa è la testimonianza degli apostoli». Noi – diceva l’attualissimo Tonino Bello – non abbiamo i segni del potere, però c’è rimasto il potere dei segni: una brocca e un asciugatoio per chinarci a lavare i piedi di ogni nostro fratello. «Ascoltare, umiliarsi, essere al servizio degli altri: questo è servire, questo è essere cristiano, questo è essere apostolo».