Oltre un linguaggio nuovo (Convegno FdO – 3)
Nella conferenza tenuta da P. Grega, tra i molti passaggi che meritano di essere ripresi, c’è quello che fa riferimento a un nuovo paradigma di vita religiosa, da esprimersi anche attraverso un linguaggio diverso, che si riconcili con parole che in una visione tradizionale di vita consacrata sono sempre state guardate con sospetto e percepite addirittura come pericolose o fuorvianti.
Il guanelliano ha messo in luce «la fatica della vita consacrata ad interagire con le nuove generazioni a livello di modello antropologico percepito, che risulta distante da alcune “normali” acquisizioni della modernità»; ha raccontato di un incontro di suore juniores in cui una gli chiedeva, non senza apprensione, se «noi consacrati fossimo normali». La domanda può sembrare banale, ma forse è come la febbre: quando c’è, indica che qualcosa nel nostro corpo ha bisogno di essere riconosciuto e curato.
È necessario prendere atto che molte cose che costituiscono il paradigma della vita consacrata hanno bisogno di essere riprese e ripensate, capite più in profondità. Qual è oggi la natura della consacrazione? Nella mentalità di ieri i voti erano pensati e codificati con l’intento di garantire attraverso di essi l’ordine, la disciplina e l’efficienza apostolica. Ora è impensabile interpretarli in quest’ottica. Ma cosa significa oggi essere casti, poveri e obbedienti? C’è bisogno di andare più in profondità, nella consapevolezza che un modello di vita religiosa è venuto meno, ma non c’è ancora l’alternativa, il modello nuovo di riferimento. Per trovarlo, o per costruirlo, dobbiamo imparare a:
- “declinare parole che esprimano pratiche di nuova umanità quali: autenticità, bellezza, passione, desiderio, amicizia, uguaglianza, personalismo, servizio;
- prendere sul serio parole per nuovi paradigmi istituzionali quali: de-istituzionalizzazione, democraticità, corresponsabilità, pluralismo;
- a riformulare parole per un diverso paradigma apostolico quali: evangelicitá, in uscita, segno, fraternità, laicità, misericordia, fragilità, ascolto, contemporaneità, incontro;
- a purificare e ripristinare parole antiche quali: verità, ragione, libertà, coscienza, povertà”.
È un itinerario lungo e impegnativo. Il cambiamento ci riguarda e non possiamo ignorarlo, non possiamo chiuderci a fare semplicemente quello che abbiamo sempre fatto, ma più in piccolo e con meno forze. Non possiamo uscire dalla storia e contrapporci a questo mondo. Ma nemmeno possiamo «rincorrerlo», nella convinzione che possa venire da lì il nostro essere evangelicamente significativi. La strada buona non è la competizione all’interno di una logica che resta mondana, alla continua ricerca della novità fine a se stessa, ma quella di una rinnovata incarnazione della vita religiosa nella storia. Così com’è non ha più l’incisività e la pienezza di significato necessarie per adempiere al suo compito nella chiesa e nella società. Il primo passo è prenderne consapevolezza.