Ingravescentem aetatem
C’è un’altra pagliuzza d’oro che accogliamo dalle parole e dalla vita di Benedetto XVI.
Ingravescentem aetatem.
È una espressione che non ha inventato lui, anche se l’ha usata per annunciare la sua rinuncia, ma è presente nel decreto del Vaticano II sull’ufficio pastorale del Vescovo. In altre parole è una forma latina per invitare i vescovi, raggiunta una certa età, a rinunciare spontaneamente al loro ufficio. Sono parole, quindi, già presenti nel linguaggio ecclesiale, ma ognuno può usarle con una vasta gamma di sentimenti e di convinzioni.
L’età avanzata è la traduzione molto semplicistica perché non è l’età come cumulo di anni che impedisce lo svolgimento di un ministero, ma è la percezione di non essere «adatto» e «adeguato» a quel ministero per il bene degli altri.
Il problema sta nella percezione che uno ha di sé.
Benedetto XVI, pur essendo dotto, esperto di curia, molto addentro alle questioni cruciali della Chiesa istituzionale, non ha assolutizzato le sue acquisizioni, ha intuito che non erano sufficienti per il momento storico.
Mettersi da parte, riconoscere i propri limiti non significa disprezzarsi, declassificarsi, ma fare secondo le proprie possibilità reali e non solo presunte o ipotetiche.
L’anzianità non è una disfatta, uno smacco, una sconfitta, ma una nuova realtà nella quale entrare cercando di vivere la vita secondo la pienezza che è concessa, che le risorse consentono.
Benedetto ha vissuto la sua anzianità coltivando gli studi, la preghiera, le relazioni, ambiti nei quali si era mosso nel corso di tutta la sua esistenza e che ora poteva svolgere con maggior cura e distensione.
Il tempo della nostra anzianità mentre fa emergere dei limiti che gli anni crudelmente non riescono a nascondere, fa affiorare le attitudini migliori, quei tesori che né tignola né ruggine consumano e che nessun ladro può rubare. Nessuno nel corso della propria esistenza, per semplice o nascosta che sia stata, non ha coltivato interessi, desideri, attenzioni che può estrarre dal suo tesoro come cose nuove a cui dedicarsi, ma antiche perché coltivate nel tempo.