Auguri e lacrime
Buon compleanno, caro papa Francesco. E grazie! Grazie perché non hai paura di mostrarti fragile, debole e impotente. Nel giro di qualche decennio siamo passati dal vedere i pontefici portati a spalla sulla sedia gestatoria al vedere te sulla sedia a rotelle, bisognoso di aiuto e indebolito dagli acciacchi della vecchiaia (senza dimenticare il «calvario» vissuto da San Giovanni Paolo II). Grazie per le tue lacrime versate pubblicamente, senza vergognartene, che esprimono il tuo patire per e con il popolo ucraino, il tuo dolore davanti all’inconcludenza della politica, la tua sofferenza per sentirti inascoltato e deluso, ma ancora caparbiamente deciso a non cedere alla rassegnazione.
Immacolata, avrei voluto oggi portarti il ringraziamento del popolo ucraino, per la pace che da tempo chiediamo al Signore. Invece devo ancora presentarti la supplica dei bambini, degli anziani, dei padri e delle madri, dei giovani di quella terra martoriata, che soffre tanto.
Riecheggia la domanda di Giovanni Battista a Gesù nel vangelo di domenica scorsa, 3^ di Avvento: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Con le tue parole e il tuo pianto, caro papa Francesco, sembri gridare: Non sei tu, Gesù, il principe della pace? Non sei tu il Signore che abbassa fino a terra i malvagi, il Dio che ama la giustizia e detesta l’empietà? Come mai allora ancora tutta questa violenza, questa distruzione, tutte queste ingiustizie, non solo in Ucraina? Perché, mio Signore, non posso offrirti il ringraziamento per il dono della pace? Dove sei? Sei tu? O dobbiamo affidarci a qualcun altro per veder spenti i fuochi di guerra?
Le tue lacrime, Francesco, danno fiato ai nostri dubbi più nascosti e segreti: esiste un Dio che può fermare le armate? Che può inceppare i calcoli dei droni e bloccare i cingoli dei carri armati? Un Dio che finalmente intervenga a impedire i nostri misfatti e la nostra prepotenza e che annienti la nostra cattiveria?
Tu, caro Papa, compi gli anni qualche giorno prima della festa di Natale, l’incarnazione di Dio. Un Dio strano, quello portato da Cristo, che si offre nudo e debole fin dall’inizio, piccolino e bisognoso di tutto, che non conta niente e che finirà la sua vita nello stesso identico modo: spogliato, abbandonato e trafitto. Come possono parlarci di un Dio onnipotente la mangiatoia e la croce, un neonato e un innocente morto ammazzato? Come possiamo credere a un Dio onnipotente mentre ancor oggi gli inermi soffrono, la guerra imperversa, l’ingiustizia e la corruzione regnano sovrane? Ma noi, come te Francesco, ostinatamente crediamo che il Mistero di Dio rifulge in questi nostri corpi dolenti, perché Dio ha preso la nostra carne. Cerchiamo, in compagnia di Gesù e anche con te, di non sottrarci alla fatica di vivere, al rischio di amare, al voler servire la pace lì dove siamo.