Casa – La differenza tra Home e House (Sintesi Nazionale fase diocesana – 7)
Entrambe le parole, come ben noto, significano casa in lingua italiana. Ma chiunque mastichi un minimo di inglese sa che i due termini non sono intercambiabili. Pur traducendosi nello stesso modo, indicano due realtà in parte collegate ma con differenze sostanziali. Il vocabolo house si riferisce ad un luogo fisico, ovvero all’edificio, alla costruzione materiale. Home, invece, è il termine da usare quando si far riferimento al focolare domestico e familiare, quindi ad un’eccezione strettamente affettiva.
La sintesi sinodale fa notare che «casa è uno spazio accogliente, che non devi meritarti, luogo di libertà e non di costrizione». Ed è bello constatare che «per molti la parrocchia, il gruppo, il movimento sono contesti di vero incontro, di amicizia e di condivisione», un luogo che in inglese tradurremo con home. «Sentirsi o non sentirsi a casa costituisce il criterio del giudizio dei singoli sulla Chiesa».
Se non vogliamo rinchiudere la sinodalità solo dentro il recinto dello svolgimento del sinodo ma farla invece diventare uno stile radicato e abituale, «è urgente ripensare lo stile e le priorità della casa». Casa è dove si può essere se stessi senza maschere e sdoppiamenti, dove il proprio pensiero conta e la propria opinione è importante e tenuta in considerazione da tutti. Ancora, casa è dove si viene valorizzati e voluti bene, dove c’è spazio per tutti e non solo per alcuni.
È fondamentale che lì dove ci sono gruppi in cui si vivono cammini di fede e di vita intensi si vigili sul pericolo della «creazione di “bolle”: spazi in cui si rischia di dividersi poteri e ruoli, di essere esclusivi ed escludenti verso chi bussa» con «dinamiche più simili a quelle di un contesto settario o di un “fan club”, con poca disponibilità ad accogliere le novità, di persone e proposte». La Chiesa sinodale invece, o la «Chiesa-casa, non ha porte che si chiudono, ma un perimetro che si allarga di continuo».
C’è anche chi vede la Chiesa nell’accezione di house, un edificio materiale dove si chiedono prestazioni, attività, opere, né più né meno di una farmacia o di un ufficio comunale, dove si va quando si ha bisogno e dove non c’è un coinvolgimento affettivo. «Più che una casa, la comunità viene pensata come un centro erogazione servizi, più o meno organizzato, di cui si fatica a cogliere il senso». Davanti a un tale sentire, è doveroso chiedersi se tutto quello che facciamo nelle nostre comunità sia davvero necessario e adatto alla «costruzione di relazioni fraterne» o se invece ci sia bisogno di sfoltire, snellire e riconoscere che «tutto deve essere reso più essenziale, a cominciare da strutture e aspetti burocratici». Papa Francesco diceva che «la Chiesa non è una dogana. Chi in qualsiasi modo partecipa alla sua missione è chiamato a non aggiungere pesi inutili sulle vite già affaticate delle persone, a non imporre cammini di formazione sofisticati e affannosi per godere di ciò che il Signore dona con facilità». Chi ha a che fare con un cristiano o una cristiana, deve trovare un fratello o una sorella disposti ad allargare le maglie del cuore.