Celebrare: nobile semplicità (Sintesi Nazionale fase diocesana – 4)
Sostiene Enzo Bianchi che «non basta l’etica per essere cristiani: gli esseri umani sanno darsi un’etica. Non basta la spiritualità: gli esseri umani sanno crearsela. Ma se non c’è più la memoria che trasmette la fede, come sarà possibile essere cristiani? Se non si crede che Gesù Cristo è vivente, è risorto da morte e ha vinto la morte, che ragione c’è a professarsi cristiani? La vera urgenza – prosegue Bianchi – è ridestare la fede, senza ridurla a messaggio etico».
Ogni tensione apostolica che non parli dell’essere radicati in Gesù alla fine si tradurrà in attivismo, che diventerà la foglia di fico per nascondere la nostra incapacità a rendere ragione della speranza che è in noi. Le nostre comunità sono chiamate a riscoprire il loro compito di trasmissione della fede e di iniziazione alla vita nello Spirito. Dall’ascolto sinodale è emerso che «la Parola di Dio è riconosciuta come chiave per tornare a essere credibili». Per evitare di vedere la parrocchia come una mera erogatrice di servizi religiosi, occorre creare lo spazio per un’autentica esperienza spirituale. È necessario «offrire più occasioni di incontro con la Parola per rispondere alla sete di vita nello Spirito e al desiderio di una sua conoscenza più approfondita».
La messa domenicale, pur non costituendo «l’intero» della vita cristiana, ne è però in qualche modo la sintesi, è il luogo dove una comunità fa confluire tutti i suoi cammini. Se è vero che basta sentire il clima di una messa per capire quale comunità si ha davanti, forse c’è da impensierirsi nel constatare che dall’ascolto sinodale «si registrano una distanza tra la comunicazione della Parola e la vita, una scarsa cura delle celebrazioni e un basso coinvolgimento emotivo ed esistenziale». Le liturgie sono sempre veritiere, anche quando sono celebrate male, con trascuratezza e nell’inerzia, perché dicono la qualità reale dei nostri legami. Basta vedere come una comunità celebra per cogliere la temperatura delle relazioni in gioco, che cristianesimo esprimono, che cammini si sviluppano, quale tonalità cristiana si respira.
«Di fronte a “liturgie smorte” o ridotte a spettacolo, si avverte l’esigenza di ridare alla liturgia sobrietà e decoro per riscoprirne tutta la bellezza». Non si tratta di escogitare chissà cosa o di ricorrere a una estrosa creatività liturgica, quanto invece di lasciar spazio a quanto già diceva il Concilio: «I riti splendano per nobile semplicità, siano chiari nella loro brevità e senza inutili ripetizioni» (Sacrosantum Concilium n. 34). La questione non è aggiungere, inventare, gonfiare, far fare per forza qualcosa a tutti pensando così di essere coinvolgenti (scadendo piuttosto nella logica dell’intrattenimento). Come diceva Papa Giovanni XXIII: «Ciò che è semplice è naturale e ciò che è naturale racchiude il divino». Più una cosa è semplice, più è naturale, più c’è Dio. Ciò che conta è lasciar affiorare la grazia, rinunciando a tutto quanto è superfluo e ritrovando la misura delle cose nel loro bastare.