In Bosnia Erzegovina per vedere oltre il buio
Il 30 agosto scorso, un pulmino dalla diocesi di Prato (7 persone) e uno da Lucca (9 persone), si sono messi in viaggio verso la Bosnia, unendosi e chiudendo idealmente la lunga carovana di mezzi che, rispondendo alla proposta di Caritas Toscana, dallo scorso luglio ad oggi ha raggiunto il territorio balcanico. Sono circa 150 i giovani che dalle diverse diocesi della regione hanno aderito all’invito. Il viaggio dei pratesi, guidato da don Matteo Pedrini e suor Federica Tassi, ha avuto più fili conduttori, che si sono intrecciati tra loro in un connubio di luci e ombre, di squarci luminosi su uno sfondo politico e sociale molto scuro. La guerra degli anni ’90 ha lasciato ferite profonde, che sanguinano ancora. Le armi tacciono, il tristemente famoso “viale dei cecchini” di Sarajevo è tornato ad essere semplicemente l’arteria principale della città, l’assedio che ha provocato più di 11mila vittime civili è terminato. Ma la pace non c’è ancora. Le fondamenta della convivenza tra bosniaci (musulmani), croati (cristiano cattolici) e serbi (cristiano ortodossi) sono ancora fragili. Da un lato, ci siamo scontrati con la memoria storica della guerra, la parte buia, ma l’altro filone portante è stato l’incontro con diverse realtà luminose che provano, ognuno nel suo ambito, ad essere segno che la pace è possibile, che vivere in un altro modo si può, che creare una mentalità in cui l’altro non sia visto come un nemico non è un sogno irrealizzabile. Realtà che provano ad essere il cemento che rafforza le fondamenta della speranza e che non vogliono cedere alla rassegnazione, che non si arrendono davanti agli infiniti ostacoli che costellano non soltanto il loro percorso, ma quello di tutta la nazione. Dal nord al sud della Bosnia Erzegovina tante persone hanno compiuto scelte di campo a servizio della loro gente e della loro terra: Drazenko, direttore di un’azienda agricola di Banja Luka, sorta nell’immediato dopoguerra anche con l’appoggio di Caritas Italiana, esperto e competente agronomo che non ha ceduto alle lusinghe di andarsene all’estero per fare fortuna. Dajana, giovane donna serba che non ha paura dei commenti e degli sguardi giudicanti quando dice di essere un’operatrice Caritas, cioè una ortodossa che lavora per la chiesa cattolica: scandalo! Vedad, da triste direttore di banca superstipendiato a gioioso direttore -per scelta- di una cooperativa per l’empowerment di ragazzi disabili. Daniele, che 17 anni fa, dopo il servizio civile a Sarajevo ha lasciato la sua San Donà di Piave per dedicarsi al servizio in Caritas per tutta l’area dei Balcani. Ivana, che con l’entusiasmo di una ragazzina coordina le infinite attività del centro di pastorale giovanile di Sarajevo, assieme ai giovani di “Youth for peace” che si impegnano negli ambiti dell’educazione alla pace e del dialogo interreligioso. I genitori delle ragazze e dei ragazzi con disabilità di Mostar, che davanti all’ignavia e all’inconcludenza del loro stato e della loro città si sono rimboccati le maniche per offrire qualcosa di buono ai loro figli e hanno messo in piedi una cooperativa che è un capolavoro. Quanta luce! Forse è proprio vero che le stelle si vedono solo al buio! Ci auguriamo che questo viaggio sia una specie di telescopio che permetta ai giovani partecipanti di vedere le stelle luminose che rischiarano il cielo delle loro vite, troppo spesso oscurate da fantasmi e paure che sembrano invincibili ma che, se guardate da una prospettiva diversa, non hanno alcun potere.
suor Federica T.