Gli sguardi di altri Vescovi (Guardare don Vincenzo con … 11)
Don Vincenzo fu un parroco molto presente nelle sue comunità cristiane, ma non trascorreva i pomeriggi seduto all’ombra del campanile delle sue chiese. Si spostava facilmente in altre Diocesi per motivi di ministero e per l’apertura di nuove comunità, e questo lo metteva in contatto con altri Vescovi, oltre che con i parroci.
A prescindere dalla scelta della città di Lodi perché alcune suore potessero conseguire i titoli di studio necessari all’insegnamento, don Vincenzo la designò come sede principale dell’Istituto. All’inizio questa scelta non fu tutta rose e fiori. il Vescovo di Lodi, Mons. Giovanni Battista Rota, non ebbe infatti subito uno sguardo benevolo verso don Vincenzo e la sua fondazione, ma prese le distanze. Il Vescovo fece sapere in modo chiaro ed esplicito che non vedeva bene nella sua città la presenza della nuova comunità, soprattutto dopo l’acquisto della Casa di via Gorini, acquisto che lasciava intendere l’intenzione di radicarsi in città. È don Vincenzo stesso che in una lettera autografa del 28 maggio del 1901 diretta a Ledovina Scaglioni comunica le condizioni richieste dal vescovo di Lodi. Chiedeva loro non di andarsene – non c’erano, infatti, motivi né canonici, né disciplinari – ma solo di essere come semplici fedeli, con nessun segno religioso esteriore, non prediche in casa, in tutto dipendenti dal parroco come chiunque e soprattutto che la presenza di questa comunità in città non doveva lasciar intendere alcuna convalida da parte sua di una nuova congregazione. Non c’era ancora l’approvazione del Vescovo di Cremona e le intenzioni di Mons. Rota sembravano lecite. Non voleva passare agli occhi di Bonomelli come un sopraffattore.
Mons. Rota ebbe una nota anche per don Vincenzo: non gli concedeva il permesso di predicare e confessare in città, mentre aveva massima libertà di movimento in diocesi. Don Vincenzo da parte sua vide questo comportamento come una «burrasca» che sarebbe passata.
Ottenuta l’approvazione dal proprio Vescovo, la questione si risolse ma don Vincenzo pur fissando la sede del Noviziato e della Casa madre a Lodi, in occasione delle sue visite cercava di non trattenersi in città più del necessario. Non voleva lasciar intendere di voler guadagnarsi in alcun modo la benevolenza di nessuno: le opere compiute dalle suore avrebbero dissipato eventuali dubbi.
Tra i numerosi Vescovi delle diocesi di là del Po con i quali ebbe contatti, non si può non citare il Vescovo di Guastalla Mons. Andrea Sarti. Nel corso dei primi incontri dettati dagli accordi per le fondazioni di nuove case, mons Sarti vedeva in questo sacerdote un po’ trascurato nel suo aspetto, un autentico innovatore per quelle loro terre poco inclini alla religione e poco benevole verso la Chiesa. Le suore e le loro attività erano per il popolo e in mezzo al popolo, per i loro bisogni e la modalità con cui vivevano la consacrazione non creava alcuna distanza. Nei numerosi viaggi nel guastallese, don Vincenzo non poteva sottrarsi dal passare in vescovado, al punto che pur di intrattenersi con Mons. Sarti gli capitò di non visitare una comunità che lo aspettava. Da parte sua il Vescovo ricambiava tanta deferenza con cordialità e stima, e apprezzamento per la sua fondazione.
Don Vincenzo condivideva con le suore la considerazione e la fraternità che gli riservava. Quando i due si incontravano uno vedeva nell’altro un fratello, un amico, qualcosa di prezioso che illuminava gli sguardi reciproci di sana fraternità.