Non ci sono tessere più necessarie di altre

Il Messaggio del Santo Padre Francesco per la  59ª Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni (qui) è un distillato della sua visione di Chiesa, che si evince già dalla prima esortazione apostolica «Evangelii Gaudium» e che ha il suo culmine nel Sinodo sulla sinodalità tuttora in corso. Il papa sottolinea che «la sinodalità, il camminare insieme è una vocazione fondamentale per la Chiesa, e solo in questo orizzonte è possibile scoprire e valorizzare le diverse vocazioni, i carismi e i ministeri».

La Chiesa non è Chiesa se non cammina unita, può essere se stessa solo nella misura in cui le disparità sono azzerate, in cui la spiritualità di comunione è scelta e vissuta.

Pur avendo fatto tanti passi avanti sia nel pensiero teologico, sia nella prassi ecclesiale, non è esagerato dire che nell’immaginario collettivo, quando si parla di Chiesa, è automatico pensare ai preti, ai vescovi, ai cardinali e al Papa. Non è un caso che in diverse sintesi della fase sinodale di ascolto sia emerso che l’esperienza di Chiesa della gente è sempre filtrata, nel bene o nel male, dai presbiteri che ha incontrato. È una risonanza che pone degli interrogativi, perché di fatto la Chiesa è un’entità che non può essere ridotta a una sua porzione, il clero. È molto di più.

«Ciascun battezzato – continua il pontefice nel suo messaggio– qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione. Bisogna guardarsi dalla mentalità che separa preti e laici, considerando protagonisti i primi ed esecutori i secondi, e portare avanti la missione cristiana come unico Popolo di Dio, laici e pastori insieme. Tutta la Chiesa è comunità evangelizzatrice».

Questa separazione però perdura ancora ed è un ostacolo al cammino di rinnovamento e di risposta alle domande e alle provocazioni che la società attuale ci pone e che la fedeltà al Vangelo ci impone. C’è ancora poca consapevolezza del valore della dignità cristiana che il battesimo dona a ciascuno, che la vocazione di tutti non è quella legata alla scelta di uno stato di vita ma quella insita appunto nel battesimo, che rende ciascuno sacerdote, re e profeta. «La vocazione, come d’altronde la santità, non è un’esperienza straordinaria riservata a pochi. La vocazione è per tutti, perché tutti sono guardati e chiamati da Dio». Non ci sono livelli diversi, importanza diversa, ma ministeri diversi, che convergono tutti verso la stessa meta: «realizzare il sogno di Dio, il grande disegno della fraternità che Gesù aveva nel cuore quando ha pregato il Padre: “Che tutti siano una cosa sola (Gv 17,21)».

Viene da pensare che per una larga parte di cristiani, il battesimo sia un tesoro nascosto di cui ignora la presenza nella propria vita e di conseguenza anche la sua ricchezza. Chiunque riceva in regalo un oggetto prezioso a sua insaputa, non potrà mai usarlo, e magari si rivolgerà ad altri per fare quello che invece è già nelle sue possibilità. Così è per la vita di fede. La chiamata – vocazione appunto – è quella a dissotterrare quel tesoro, che – come dice la Lumen Gentium, mette tutti in una condizione «di una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo».

«Siamo come le tessere di un mosaico, belle già se prese ad una ad una, ma che solo insieme compongono un’immagine. Brilliamo, ciascuno e ciascuna, come una stella nel cuore di Dio e nel firmamento dell’universo, ma siamo chiamati a comporre delle costellazioni che orientino e rischiarino il cammino dell’umanità, a partire dall’ambiente in cui viviamo».

Non ci sono tessere più preziose di altre. Ognuna è differente, ma nessuna è più importante o più necessaria e ritrova il suo valore solo nell’unità dell’insieme e della diversità. Per questo il papa rimarca che «l’urgenza di camminare insieme coltivando le dimensioni dell’ascolto, della partecipazione e della condivisione». 

San Paolo, nella sua lettera ai Galati, ci dice che «quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo» (3,27). Non c’è chi è più rivestito e chi meno, ma tutti siamo investiti di questo dono e di questa responsabilità, nessuno escluso. Pregare per le vocazioni allora non significherà più chiedere a Dio di mandarci più preti o più suore, ma svestirsi del clericalismo che rompe la comunione ecclesiale e mortifica la diversità ministeriale. Significa chiedere il dono della conversione a una Chiesa che «deve diventare sempre più sinodale: capace di camminare unita nell’armonia delle diversità, in cui tutti hanno un loro apporto da dare e possono partecipare attivamente».

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