Uno stillicidio di luce
Abbiamo vissuto la Pasqua domenica scorsa. Dopo tanto buio, nel cielo e nel cuore si è aperto uno squarcio di luce. Ma la liturgia, proponendoci di celebrare «l’ottava di Pasqua», sembra leggerci dentro, sa che la nostra fede vacilla. Non ci basta un giorno per bucare la crosta della nostra incredulità, non ci è sufficiente ascoltare una volta sola l’annuncio della vittoria dell’amore sulla morte. Lo scetticismo ha gioco facile con noi, alimentato dalla follia della guerra e da una realtà amara da digerire. I nostri non sono passi sicuri e spigliati. Siamo ancora imbrigliati dai legacci del dubbio e del sospetto. Fatichiamo a credere, è troppo dura la realtà per poterci permettere una facile illusione.
Ecco il perché dell’Ottava: ogni giorno, nel calderone dei nostri tentennamenti e delle nostre esitazioni viene versata una goccia di luce. Non una luce accecante o prorompente. Solo un piccolo bagliore, tenue e leggero, ma sufficiente per illuminare lo spazio di un passo, quel passo quotidiano necessario per non cedere, per continuare a camminare in direzione ostinata e contraria al vento della rassegnazione.
Sentiamoci accompagnati dalla franchezza di Pietro, che negli Atti degli apostoli non smette di annunciare la resurrezione, dalle donne al sepolcro a cui gli angeli ripetono «non temete», dallo stupore di Maria di Magdala nel sentirsi chiamata per nome da Gesù, dall’inversione di rotta dei due di Emmaus, dai dubbi e dalle resistenze dei discepoli anche davanti al loro maestro risorto, dalle fugaci intuizioni del discepolo che Gesù amava. Passo dopo passo, a poco a poco, lasciamo che i piccoli ma tenaci chiarori offerti dalla Parola provochino qualche crepa nel nostro cuore incrostato, fino a giungere a fare nostra la sincera espressione di Tommaso davanti alle ferite aperte di Gesù: «Mio Signore e mio Dio!».