#FERMATEVI!
«La guerra è una pazzia! Fermatevi per favore!» ha gridato qualche settimana fa per l’ennesima volta papa Francesco.
Sono innumerevoli e abbondanti – anche se inascoltati e disattesi – i suoi appelli per porre fine alla tragedia che ogni giorno si compie sotto i nostri occhi in Ucraina.
Il pontefice non ha tremato nel pronunciare parole scomode contro il riarmo, rivolte ai politici e ai governanti, indicando loro vie possibili e diverse da quelle che si stanno percorrendo: «Si continua a governare il mondo come uno “scacchiere”, dove i potenti studiano le mosse per estendere il predominio a danno degli altri. La vera risposta non sono altre armi, altre sanzioni. Io mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono impegnati a spendere il due per cento del Pil nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta succedendo adesso. La pazzia! La vera risposta è un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato – non facendo vedere i denti, come adesso –, un modo diverso di impostare le relazioni internazionali».
Quanto dichiarato da papa Francesco non lascia spazio a dubbi o a interpretazioni di parte. Le sue parole non sono strumentalizzabili e si stagliano limpide e luminose in questa cupa notte di violenza, soprusi e dolore; sono un richiamo forte alla radicalità del Vangelo, ad un impegno serio e autentico di cambiamento di mentalità. Non abbassa l’asticella, Francesco, non cede alle lusinghe mortifere di vincere il male con un male ancor più grande. Piuttosto, invita tutti a guardare la realtà da un altro punto di vista: «Aiutiamoci ad ascoltare la sete di pace della gente, lavoriamo per porre le basi di un dialogo sempre più allargato, ritorniamo a riunirci in conferenze internazionali per la pace, dove sia centrale il tema del disarmo, con lo sguardo rivolto alle generazioni che verranno! E gli ingenti fondi che continuano a essere destinati agli armamenti siano convertiti allo sviluppo, alla salute e alla nutrizione».
Oggi– sottolinea ancora Bergoglio – «ci siamo abituati a pensare con la logica della guerra». Ci è sempre più difficile entrare in una logica diversa, in cui la pace non si fondi sulla deterrenza e sulla paura, ma sul dialogo e la giustizia sociale, sulla lotta alle povertà, su un nuovo sistema di relazioni internazionali.
Nell’ascoltare le parole del vescovo di Roma, si staglia dietro di lui la figura di un altro indimenticato vescovo, don Tonino Bello, accusato dai più di essere un idealista, un povero ingenuo incapace di vedere come vanno davvero le cose. Quando si recò – assieme ad altri 500 «folli» – nella martoriata città di Sarajevo – di cui proprio in questi giorni ricorre il trentesimo anniversario dell’inizio dei bombardamenti – osò dire che «queste forme di utopia dobbiamo promuoverle, altrimenti le nostre comunità sono soltanto le notaie dello status quo e non le sentinelle profetiche che annunciano cieli nuovi e terra nuova. Siamo entrati nel cuore della guerra e abbiamo sperimentato che ci sono alternative ai processi di militarizzazione, alle logiche delle armi e della violenza. Ci sono alternative, sono chiarissime soprattutto perché abbiamo visto noi, gente povera in mezzo ai poveri del posto, questo anelito che si sprigiona dalle profondità della città».
Di utopia evangelica ne abbiamo persa già molta e sguazziamo nell’equilibrismo tattico-politico che cerca di addolcire il Vangelo, riportandolo dentro i nostri schemi. La realtà è certamente complessa, la crisi di coscienza ci sta, la legittima difesa si può discutere, ma una parola profetica ci sta pure. Forse inutile, forse ignorata e silenziata. Ma guai se non ci fosse. E oggi la dice solo Papa Francesco: «In nome di Dio, vi chiedo: fermate questo massacro!».