Mendicanti di luce (Sinodo 9)

Qualche giorno fa abbiamo vissuto la festa dell’Epifania, caratterizzata dalla figura dei magi, gli uomini in viaggio per antonomasia. Pur fuori tempo liturgico, possiamo ugualmente prendere queste persone come icona del Sinodo universale che stiamo vivendo, anche se forse ancora in sordina.

Qualcuno si chiederà cosa c’entrano questi antichi personaggi con il processo sinodale dei nostri giorni. In realtà hanno molto da insegnarci: la loro carovana si è messa in cammino senza sapere dove sarebbero giunti, non avevano una meta determinata se non quella di seguire una stella per adorare il re dei giudei. Sono gente di cammini, inventori di strade, qualcuno direbbe «mendicanti di luce». L’etimologia della parola «desiderio» rimanda non a caso alla «mancanza di stelle», alla nostalgia di un chiarore. Essere mendicanti è l’unica modalità per partire: sarà sempre una povertà, una mancanza, un’inquietudine a metterci in moto, senza questa si resta stagnanti, immobili.

In un’enciclica dell’ormai lontano 1961, San Giovanni XXIII definiva la chiesa «mater et magistra», madre e maestra di tutte le genti, «colonna e fondamento di verità». Una tale definizione non lascia spazio a interrogativi, dubbi, inquietudini. Mette al sicuro, dà certezze granitiche. Ma «se non c’è il senso della vertigine – incalza Antonio Spadaro – se non si sperimenta il terremoto, se non c’è il dubbio metodico (non quello scettico), la percezione della sorpresa scomoda, allora forse non c’è sinodo».

Volendo porsi in ascolto di tutti, il sinodo mette la compagine ecclesiale nella condizione non solo di docens ma anche di discens. Riconoscersi parte di una chiesa «mendicante» non è cosa scontata e richiede un umile cambio di sguardo, quella conversione che da tempo ci sta indicando Papa Francesco: pensare e praticare l’uscita non come sforzo per riportare dentro chi sta fuori, ma come tentativo di ricercare nell’altro risposte a domande – espresse o inespresse – che la comunità ecclesiale si porta dentro. Proprio come i magi, che non si trincerano nelle loro sicurezze e si smuovono, non si mettono in viaggio per portare a sé il re dei giudei, ma per andare loro a prostrarsi davanti a lui. La «chiesa in uscita» non è solo uno slogan, ma è la chiesa che non ha già tutte le risposte, riconosce di non possedere tutta la verità e non se ne sta sicura nel recinto dei dogmi o delle tradizioni (da non confondersi con la Tradizione!). È una chiesa che, come i magi, accetta di sapere di non sapere e riconosce il suo bisogno di luce, di strade nuove da costruire, di stelle da scoprire e da seguire, in ricerca. 

Papa Francesco non perde occasione per sottolineare che il protagonista di questo processo è lo Spirito Santo che muove e attira, che non ama safe zones, aree protette: soffia dove vuole e, perciò, rende la Chiesa inquieta, scomoda, tesa. E questo è, in fondo, l’anima del Sinodo: mettersi finalmente davvero in gioco seguendo la dinamica animata dallo Spirito.

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