Da Saulo a Paolo. Da persecutore ad apostolo (1)
Raccontare è rileggere una vicenda, un fatto, una esperienza, una vita da una prospettiva che illuminandola ne mette in evidenza i processi che l’hanno preparata, accompagnata e portata al suo epilogo.
Papa Francesco nel messaggio in occasione della giornata mondiale della gioventù 2021 celebrata nelle chiese locali, ha riproposto l’esperienza di Saulo di Tarso come paradigma di ogni chiamata alla vita cristiana.
Suor Federica prendendo spunto da questo messaggio ha voluto che fosse lo stesso Paolo a raccontare la sua storia. Le sono venute in aiuto gli spunti biografici che lui stesso ha disseminato nelle sue lettere inviate alle diverse chiese, ma soprattutto ha trovato tra le pieghe dei suoi comportamenti, delle sue decisioni, dei suoi sentimenti il cammino di un uomo, la storia di una vocazione. E ognuno di noi, rileggendola, per poco o per molto si può riconoscere in alcuni passaggi ed essere illuminato, confermato o provocato.
La storia di “Paolo, da persecutore ad apostolo”, come raccontata da lui, verrà proposta in tre tappe che avranno il momento culminante nel giorno in cui la liturgia celebra la Conversione di san Paolo: 1. Saulo di Tarso, l’ebreo irreprensibile – 2. La crisi e il crollo delle certezze – 3. Salvato… per grazia!!
Buona lettura.
Saulo di Tarso, l’ebreo irreprensibile
«Quel bestemmiatore di Gesù è morto. Per fortuna. Altrimenti dove si sarebbe andati a finire? Uno che si mette in mezzo alla feccia della società, che trasgredisce il sabato, che si permette di togliere i confini tra sacro e profano è soltanto un pericolo per il nostro popolo, avrebbe portato il giudaismo allo sfacelo. Hanno fatto bene a farlo fuori. Ma quei disperati dei suoi seguaci continuano ancora a parlare di lui, a raccontar fandonie, a far finta che sia vivo e vegeto. Risorto, dicono. Maledetti impostori! Non sopporto quelli che si arrampicano sugli specchi per non ammettere di aver sbagliato, per non riconoscere di essere nel torto. Loro sono proprio così! Quel Gesù è morto nel peggiore dei modi, abbandonato prima di tutto da Dio e poi anche da loro che ora se ne riempiono la bocca. Vigliacchi senza vergogna! Meritano solo il mio disprezzo. Io, Saulo, circonciso l’ottavo giorno, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da Ebrei, fariseo quanto alla legge, irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della legge (Fil 3,6), metterò tutto il mio zelo perché questo gruppuscolo di ignoranti e menzogneri venga spazzato via e cancellato dalla memoria di tutti».
Questi erano all’incirca i miei pensieri, prima di riscoprirmi «Piccolo» (Paolo significa questo). Ero così sicuro di me, così certo della mia integrità morale, così gonfio della mia giustizia e orgoglioso della mia irreprensibilità. Ma nonostante la mia sicurezza, sentivo che qualche cosa dentro di me mi turbava. Non ci facevo caso, ero troppo impegnato a perseguitare a morte questa dottrina, «arrestando e gettando in prigione uomini e donne» (At 22,4), perché «credevo un tempo mio dovere di lavorare attivamente contro il nome di Gesù il Nazareno, come in realtà feci a Gerusalemme; molti dei fedeli li rinchiusi in prigione con l’autorizzazione avuta dai sommi sacerdoti e, quando venivano condannati a morte, anch’io ho votato contro di loro». (At 26, 9-10). Io, giudeo così zelante nell’osservanza della Legge di Dio, vedevo in loro solamente dei trasgressori e traditori, che mettevano la loro sicurezza non nell’adempimento dei comandamenti o nel loro sforzo di fedeltà, ma nella giustizia che deriva dalla fede in Cristo (Fil 3,9). Cristo, capite? Chiamavano Messia uno che è morto crocifisso in mezzo a due delinquenti. Che assurdità!
Eppure, nonostante il mio essere «fremente minaccia e strage contro i discepoli di questo fantomatico Signore» (At 9,1), continuavo a percepire un tarlo dentro di me, che lentamente ma inesorabilmente scavava, mordeva e si faceva spazio. Non riuscivo a capire cos’era, ma le parole del profeta Geremia sembravano scritte per me: «Mi dicevo: “Non penserò più a lui!”. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20,9). Non volevo dare la minima fiducia a questa gentaglia, mi opponevo con tutte le mie forze, arrivando, come sapete, anche ad essere violento e aggressivo. Eppure, proprio la loro reazione davanti alla mia veemenza suscitava in me una strana meraviglia. Quel che più mi stupiva era vedere la loro franchezza nel parlare davanti ai tribunali, al sinedrio e ai sacerdoti, loro che erano persone semplici e senza istruzione (At 4, 13). Mi è stato raccontato che gli anziani del popolo avevano ordinato a Pietro e Giovanni, due di loro che pare avessero guarito uno storpio, di non parlare in alcun modo né di insegnare nel nome di Gesù, ma questi, con una dignità che avrebbe fatto invidia a chiunque, hanno replicato che non potevano tacere quello che avevano visto e ascoltato e che era più giusto obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (At 4, 18-20). Episodi del genere non erano rari e facevano aumentare vertiginosamente il mio smarrimento. Saranno stati pure degli impostori, ma dove trovavano la forza per non piegarsi nemmeno davanti a chi aveva il potere di ucciderli? Il loro stile di vita aveva qualcosa di diverso, di speciale. «Stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (At 2, 44-45). Il loro cuore non era attaccato al denaro o alle ricchezze, sembravano liberi dalla smania del possesso e del potere. Come era possibile che «nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, che fra loro tutto era comune»? (At 4, 32). Tutto ciò aveva davvero dell’incredibile. Constatavo che la gente era attratta dalla loro libertà, dalla totale assenza di paura nel loro agire e nel loro parlare. Niente e nessuno sembrava in grado di fermarli o di spaventarli. C’era in loro una forza che anziché diminuire davanti alle difficoltà, aumentava sempre di più e ogni giorno si univano a loro decine e decine di persone. Che diamine stava succedendo? Non capivo più niente; queste donne e questi uomini avevano inventato un modo di vita nuovo, liberato da quella paura della morte che tanto condiziona le nostre scelte. Non era una comunità di persone particolarmente dotate, erano uomini e donne comuni che però osavano disobbedire agli imperativi della sapienza mondana; il loro pensiero era ben lontano dall’accumulare beni, dal fondarsi sulle proprie forze e dal cercare di salvarsi a tutti i costi. Non facevano cose rivoluzionarie, ma attuavano quel modo di vivere solidale, sobrio e mite che alcuni profeti avevano già sperimentato, qua e là nella storia. Li consideravo dei bestemmiatori… ma erano belli e attrattivi! Mi destabilizzavano.