Giovedì santo e la pratica dell’ora santa
I misteri celebrati nel triduo pasquale non sono come la rugiada che scompare appena sorge il sole, sono invece come la pioggia di primavera che penetra nel terreno e fa germogliare ogni seme. È per questo che, anche se siamo nell’ottava di Pasqua, riprendiamo un tema del giovedì santo.
Gesù, dopo la cena rituale pasquale, la sua ultima cena, anziché ritirarsi in un luogo solitario a pregare come era suo solito, andò nel giardino del Getsemani con il gruppo dei dodici. La solitudine era dentro di lui, perché era scoccata la sua «ora» nella quale sarebbe stato tradito, abbandonato, condannato, lasciato solo!
Gli apostoli ancora una volta non capirono che cosa stesse succedendo al Maestro, quando chiamati tre chiese loro di vegliare con Lui, di fargli compagnia. Sicuramente tutti si saranno offerti per stargli più vicino,
A Pietro, Giacomo e Giovanni non chiese: «State svegli come me», spiegando il motivo per cui non poteva dormire, semplicemente disse: «Vegliate con me!» Cioè: «Fatemi compagnia, almeno per un’ora, statemi vicino!»
Il sonno, però, ha avuto il sopravvento sui tre, e la richiesta di Gesù è stata ripetutamente disattesa.
Nelle pratiche della spiritualità moderna c’è un esercizio che intende rispondere alla richiesta di Gesù di fargli «compagnia»: è l’ora santa al giovedì.
«Fammi compagnia, almeno un’ora!» ripete ancora Gesù, una compagnia che può essere semplicemente presenza del cuore, perché la sua «passione» non si è ancora conclusa, Lui è in agonia fino alla fine del mondo, in ogni persona che soffre.