Abbracciamo la nostra debolezza

Un neonato è un fragile cucciolo d’uomo bisognoso di tutto, in attesa di nutrimento, calore, attenzione. È l’esatto contrario dell’autosufficienza e della fortezza. Giuseppe ha dovuto affinare non poco il suo sguardo, per scorgere in quel bambino la manifestazione di Dio. Ha dovuto fare i conti con un essere dipendente dalle sue cure, introdotto nel territorio della fragilità. «Vide crescere Gesù giorno dopo giorno “in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,52). Come il Signore fece con Israele, così egli “gli ha insegnato a camminare, tenendolo per mano: era per lui come il padre che solleva un bimbo alla sua guancia, si chinava su di lui per dargli da mangiare” (cfr Os 11,3-4)» (Patris Corde)

Chissà quanti gesti d’amore delicati e apparentemente inutili avrà regalato a suo figlio. «Gesù ha visto la tenerezza di Dio in Giuseppe: “Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono” (Sal 103,13)» (Patris Corde). Piace pensare che la sensibilità di Gesù, il suo vedere la bellezza anche dentro ciò che a noi sembra irrecuperabile, la sua calda umanità, i suoi infiniti gesti di tenerezza abbiano le radici anche in Giuseppe, che ha accolto, custodito e amato la debolezza di Gesù bambino.

Abbiamo bisogno di riconciliarci con lo scandalo della debolezza, nostra e altrui, di imparare a non mettere più in atto nessun esercizio per sfuggirla. «Il Maligno ci fa guardare con giudizio negativo la nostra fragilità, lo Spirito invece la porta alla luce con tenerezza. È la tenerezza la maniera migliore per toccare ciò che è fragile in noi. Il dito puntato e il giudizio che usiamo nei confronti degli altri molto spesso sono segno dell’incapacità di accogliere dentro di noi la nostra stessa debolezza, la nostra stessa fragilità» (Patris Corde).  

Noi rimaniamo estasiati davanti agli eroi, che nel nostro immaginario risultano i  forti a cui non trema mai il cuore, spavaldi, imperturbabili e invulnerabili. Ma dimentichiamo che «la storia della salvezza si compie attraverso le nostre debolezze. Troppe volte pensiamo che Dio faccia affidamento solo sulla parte buona e vincente di noi, mentre in realtà la maggior parte dei suoi disegni si realizza attraverso e nonostante la nostra debolezza» (Patris Corde).

I vangeli, a differenza di quello che avremmo fatto noi, non nascondono e non censurano, anzi raccontano senza esitazioni i turbamenti sia di Giuseppe che di Gesù. «Se questa è la prospettiva dell’economia della salvezza, dobbiamo imparare ad accogliere la nostra debolezza con profonda tenerezza» (Patris Corde) guardandola con uno sguardo delicato che non giudica, non critica e non sta sempre a cercare di eliminarla, ma anzi la abbraccia e le vuole bene.

«Giuseppe ci insegna così che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca. A volte noi vorremmo controllare tutto, ma Lui ha sempre uno sguardo più grande» (Patris Corde).

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