Il bisogno aguzza l’ingegno… pastorale!
Don Vincenzo conosceva bene un’usanza abbastanza diffusa tra i suoi parrocchiani, quella di riunirsi tra famiglie nelle lunghe serate d’inverno, in una delle stalle più ampie, riscaldate dagli animali, per trascorrere insieme e in allegria alcune ore. Il parroco non aveva nulla da ridire su questo: gli uomini stavano lontano dalle osterie e le donne risparmiavano la legna da ardere.
Ma di che cosa parlavano tra loro? Se c’era il tipo cantastorie, l’allegria era assicurata, e se invece a tener banco era la lingua lasciva, anche di uno solo, i racconti degeneravano con battute e sottintesi ambigui e magari con approcci e ammiccamenti, favoriti dall’ora tarda e dalla penombra del luogo Don Vincenzo non frequentava questi raduni e non per mancanza di zelo. Da tempo aveva considerato però che per i suoi giovani, questi ritrovi erano occasioni di pericolo morale. Doveva escogitare un modo per interessarli a qualcosa che fosse più attraente di quelle serate. Organizzò così dei corsi serali di istruzione. A chi aveva lasciato la scuola prima del tempo, offriva la possibilità di recuperare gli anni persi. Aiutava gli altri a perfezionare la scrittura e la lettura. Altri potevano passeggiare in qualche buon libro o rivista che si trovava nella biblioteca della canonica.
Come al solito la perpetua ebbe da dire, perché non solo lei ma anche don Vincenzo perdeva delle ore di riposo, perché dovendo usare più legna per scaldare il saloncino, la scorta si assottigliava a vista d’occhio. Che dire poi delle candele o delle lucerne a petrolio che non bastavano mai. Anche don Vincenzo sapeva che avere i giovani in canonica, tutte le sere, aveva un costo, ma che cosa contava questo di fronte al fatto di saperli al sicuro lì con lui, lontani da possibili occasioni di male?