Elogio dell’inefficienza e dell’inutilità (Fratelli tutti 5)

Efficienza e rendimento sono diventati un dogma nella nostra società fondata sull’economia. Una persona conta in proporzione a quanto produce e rende. Si è assunta – più o meno consciamente – una mentalità utilitaristica che porta a muoversi e scegliere soltanto per massimizzare il proprio utile e i propri interessi, perseguendo sempre la massima efficienza.

Ma non tutti sono o possono essere produttivi. E da qui nascono i cortocircuiti che qualcuno paga a caro prezzo. Se non rendi non hai più diritti, viene misconosciuta la tua dignità. Si crea quella cultura dello scarto contro cui il papa si scaglia da sempre. Lo fa anche nella Fratelli tutti al n. 107: «Ogni essere umano ha diritto a vivere con dignità e a svilupparsi integralmente. Ognuno possiede questo diritto, anche se è poco efficiente, anche se è nato o cresciuto con delle limitazioni; infatti ciò non sminuisce la sua immensa dignità come persona umana, che non si fonda sulle circostanze bensì sul valore del suo essere. Quando questo principio elementare non è salvaguardato, non c’è futuro né per la fraternità né per la sopravvivenza dell’umanità».

In questa «società che si regge primariamente sui criteri della libertà di mercato e dell’efficienza» (FT 109), la fragilità e la debolezza diventano ostacoli e come tali non devono fare parte del nostro vivere quotidiano. «Le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se “non servono ancora” – come i nascituri –, o “non servono più” – come gli anziani» (FT 18). E parlando dei migranti, il pontefice rincara la dose nel mettere in evidenza come «non si dirà mai che non sono umani, però in pratica, con le decisioni e il modo di trattarli, si manifesta che li si considera di minor valore, meno importanti, meno umani» (FT 39).

L’Enciclica intera è una forte esortazione a tutti gli uomini e le donne di buona volontà a uscire da queste logiche mortifere e perverse per ridare spazio all’amore e all’amicizia, al rispetto per tutti, alla solidarietà. «Parole come libertà, democrazia o fraternità si svuotano di senso. Perché, in realtà, finché il nostro sistema economico-sociale produrrà ancora una vittima e ci sarà una sola persona scartata, non ci potrà essere la festa della fraternità universale» (FT 110).

La chiesa non è preservata automaticamente da queste dinamiche maligne. Anche al suo interno può trovare spazio una mentalità utilitaristica e produttiva. Spesso quando qualcuno si avvicina ai «nostri ambienti» la prima preoccupazione non è quella di capire chi è e di cosa ha bisogno, ma quale compito affidargli, quale attività fargli fare, dove inserirlo, perché possa essere utile. Il tutto in buona fede, ci mancherebbe, ma forse con troppa superficialità. Tante volte siamo in apprensione perché ci sentiamo in dovere di far girare a pieno regime la macchina organizzativa ecclesiale o parrocchiale: dobbiamo tappare tutti i buchi vuoti, coprire ogni gruppo di catechismo, riempire tutte le caselle del calendario, portare avanti le attività. Segnali di generosità e dedizione, ma anche di uno stacanovismo religioso che non profuma di vangelo. 

L’accoglienza, la bellezza, l’ascolto, la gratuità, la convivialità sono bussole alternative e segni di contraddizione nei confronti di questa mentalità distorta che la Chiesa – e al suo interno la vita religiosa – è chiamata a fare sue, sono i modi più radicali per contestare il pensiero malato che ci dice che ogni cosa deve servire a qualcosa. La bellezza non serve, il vino non è indispensabile, la poesia è inutile, il silenzio non produce e la preghiera non conta nulla. Ma son così necessarie agli uomini e alle donne immersi in questo deserto dello spirito! Che rivoluzione sarebbe se la Chiesa avesse il coraggio di essere inutile!

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