Dialogare fa rima con amare (Fratelli tutti 6)

«Tutti noi credenti dobbiamo riconoscere questo: al primo posto c’è l’amore, ciò che mai dev’essere messo a rischio è l’amore, il pericolo più grande è non amare» (FT 92). Questa espressione potrebbe essere la sintesi di tutta la «Fratelli Tutti». Ma le sintesi hanno bisogno di essere declinate in vita vissuta e in modalità concrete di incarnarle. Come posso amare nella mia quotidianità? Come posso evitare di mettere a rischio l’amore? Come posso farlo crescere e sbocciare? Come faccio a costruire fraternità e comunione? Tra le tante piste indicate da Francesco, eccone una che tutti possiamo intraprendere senza scuse o deleghe:

«Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto, tutto questo si riassume nel verbo “dialogare”. Per incontrarci e aiutarci a vicenda abbiamo bisogno di dialogare» (FT 198).

In un mondo che ci mette a disposizione innumerevoli strumenti di comunicazione, potrebbe apparire superfluo e scontato parlare di dialogo. Ma mai come oggi è sotto gli occhi di tutti quanto sia difficile dialogare davvero, ed è evidente che confondiamo il dialogo con altre forme comunicative che anziché alimentare la comunione, dividono e separano.

«Cosa sarebbe il mondo senza il dialogo paziente di tante persone generose che hanno tenuto unite famiglie e comunità! Il dialogo perseverante e coraggioso non fa notizia come gli scontri e i conflitti, eppure aiuta discretamente il mondo a vivere meglio, molto più di quanto possiamo rendercene conto» (FT 198).

In questo marasma di parole urlate e di informazioni a valanga, di post, chat e «stories» a velocità della luce, non è difficile riconoscere che «spesso si confonde il dialogo con qualcosa di molto diverso: un febbrile scambio di opinioni nelle reti sociali […], monologhi che procedono paralleli, forse imponendosi all’attenzione degli altri per i loro toni alti e aggressivi» (FT 200).

Se parlo partendo dal presupposto che io ho ragione e l’altro ha torto e che io ho già la verità in tasca, non creo le basi per un vero dialogo. «In un vero spirito di dialogo si alimenta la capacità di comprendere il significato di ciò che l’altro dice e fa, pur non potendo assumerlo come una propria convinzione» (FT 203). Se guardo l’altro con sospetto, senza mettermi nella disponibilità d’animo a guardare le cose da un punto di vista differente dal mio, se mi irrigidisco e mi chiudo sulle mie posizioni, non è dialogo. «L’autentico dialogo sociale presuppone la capacità di rispettare il punto di vista dell’altro, accettando la possibilità che contenga delle convinzioni o degli interessi legittimi» (FT 203).

Se non metto in conto che per comunicare davvero devo rendermi almeno un po’ vulnerabile, non è dialogo: «Predomina l’abitudine di screditare rapidamente l’avversario, attribuendogli epiteti umilianti, invece di affrontare un dialogo aperto e rispettoso. Ed è un linguaggio generalizzato che usano quotidianamente tutti» (FT 201).  Se non voglio perdere nulla e non c’è in me la disposizione ad accogliere la diversità, se non lascio spazio alle differenze, posso moltiplicare le parole all’infinito senza che però «orientino effettivamente all’incontro generoso, alla ricerca sincera della verità piena, al servizio, alla vicinanza con gli ultimi, all’impegno di costruire il bene comune» (FT 205). Se c’è offesa, se l’obiettivo della discussione è portare l’altro a pensarla come me, se manca la disponibilità a «riconoscere all’altro il diritto di essere sé stesso e di essere diverso» (FT 218) non è dialogo. Se voglio «audience» e consensi e like ad ogni costo, disconosco che «il dialogo è la via più adatta per arrivare a riconoscere ciò che dev’essere sempre affermato e rispettato, e che va oltre il consenso occasionale» (FT 211). Per questo «occorre esercitarsi a smascherare le varie modalità di manipolazione, deformazione e occultamento delle verità» (FT 208). Dialogare ha a che fare con l’amore, con il desiderio di lavorare per «avviare processi di incontro. Armiamo i nostri figli con le armi del dialogo! Insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro!» (FT 217).

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