Non lasciamoci rubare la fraternità (Tessitori di fraternità 1)

Il tema della giornata missionaria mondiale di questo 2020 è «Eccomi, manda me. Tessitori di fraternità». Nel sito Missio si possono trovare diversi spunti di riflessione e sussidi per vivere in profondità questo mese dedicato alle missioni. La lettura di alcune di esse, in particolare quella di don Armando Matteo, teologo presso la Pontificia Università Urbaniana, membro dell’Equipe di formazione della Fondazione Missio, ci ha interrogate profondamente, e la sua relazione è l’entroterra sul quale sono stati redatti i prossimi due post.

A prescindere dalle polemiche pretestuose sul titolo della ormai imminente enciclica del Papa sulla fraternità, se c’è un contesto in cui le parole «fratelli e sorelle» risuonano in modo ricorrente e quasi esclusivo è quello ecclesiale, e sono una dichiarazione veritiera, almeno ontologicamente. Oggi esiste anche una deriva, quella delle gang, dove gli aderenti si riconoscono e si indicano con l’appellativo di «fratelli», ma è una deriva con un entroterra molto complesso.

Il senso della fraternità nella umanità – annota uno studio sociologico – viene da millenni di storia, nel corso dei quali le condizioni avverse climatiche e sanitarie, le difficoltà economiche hanno sviluppato un sentimento assai diffuso, il bisogno, cioè, di stare insieme, tutti, per poter andare avanti. Lo confermano i primi agglomerati urbani e su su fino alle alleanze tra popoli confinanti.

L’inclinazione alla fraternità, allora, è di ciascun essere umano, è naturale, è alla nostra portata: siamo animali sociali diceva già Aristotele. Ma non è un automatismo, ci dicono gli studiosi dei comportamenti sociali. Pur essendo una inclinazione profonda richiede una decisione, un atto di volontà per compiere un passo verso l’altro, in piena libertà.

Oggi si registra un eclissi della prossimità. È scomparso il bisogno dell’altro. La sicurezza economica, sociale e sanitaria, la tecnologia, il mercato, l’istruzione, lo sviluppo in genere, obiettivi raggiungibili con il denaro e perseguibili con il riconoscimento dei diritti umani, hanno preso il sopravvento sul senso della fraternità. Salvo poi a poterla riscoprire quando un virus dilaga, senza lasciarsi imbrigliare da nessuna regola economica o di progresso.

È davanti a questo quadro che papa Francesco individua un nuovo compito, un impegno, una missione.

Di più. In Evangelii guadium egli indica la «fraternità» come la missione specifica che assegna ai credenti di questa ora della storia.

Parla di Chiesa in uscita non perché i cristiani devono disperdersi, ma perché le comunità cristiane non siano dei club esclusivi per pochi e buoni.

Non lasciamoci rubare la fraternità!

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