Nel 5° anniversario della canonizzazione di don Vincenzo Grossi

Quando ci soffermiamo ad osservare un santo, la sua vita, le sue opere, ci assale un senso di inadeguatezza, come a dire: a me non succederà, non ho le sue virtù!

Gesù nelle parabole racconta la santità delle case, delle strade, dei campi, della vita quotidiana: delle massaie come dei contadini, dei padroni come dei servi, dei padri come dei figli, delle vedove… E non dice beati quelli che pregano molto, che fanno generose donazioni, i molto devoti, i frequentatori assidui di chiese, quelli che riescono ad avere degli ammiratori. Racconta  e mette in evidenza la religiosità della vita, persino quella dei ciechi e storpi mendicanti, dei lebbrosi, perfino quella dei ladroni… 

Nel fare memoria del quinto anniversario della canonizzazione di San Vincenzo Grossi, illuminati dal vangelo, desideriamo guardare, più che le sue virtù, i suoi comportamenti, i suoi atteggiamenti perché sono stati il modo personale e particolare attraverso i quali ha vissuto il vangelo, il ministero, la sua missione di fondatore.

Sia chi l’ha conosciuto sia la sua corrispondenza raccontano di lui come di un sacerdote «normale».

Scopriamolo.

Don Vincenzo si negava ai complimenti ed era premuroso nell’accoglienza; sempre uguale a se stesso e faceto all’occasione, passava dallo studio di autori spirituali e moderni all’uso della zappa nell’orto o dell’accetta nella legnaia; mite nell’accettare le molestie della perpetua e dei ragazzini indiavolati e irritato davanti a gesti irriflessivi dei suoi giovani; timoroso di fronte all’incertezza della approvazione del vescovo e lungimirante nelle decisioni, iniziatore della fondazione e promotore delle suore a cui l’ha affidata, misericordioso con i peccatori  e intollerante con i presuntuosi che sfidavano la sua pazienza, indulgente con i deboli e rigoroso con i pigri soprattutto se si trattava di  preti e suore, generoso con i poveri e misurato con chi ne approfittava, socievole nelle relazioni  con i fedeli e riservato nelle amicizie con i confratelli, confidente con i collaboratori e formale al bisogno, distaccato dal benessere e interessato nella gestione dei beni comuni, umile nel non presumere di sé e temerario nel sostenere le ispirazioni di bene, solitario nell’affrontare le prove e leader nel proporre progetti… E si potrebbe continuare.

Costituiscono, queste, il mosaico della sua personalità, viva e in divenire. Nelle situazioni quotidiane in cui era chiamato a vivere, questi comportamenti non sono stati episodi isolati ma un «habitus» e nella continuità hanno rivelato la fonte a cui attingevano: Dio, che non ci fa in serie come tante statuette di creta, alcune meglio riuscite – i santi -, ma che è vivo e respira di nascosto nel profondo di ogni persona. Motivo per cui ognuno di noi è potenzialmente un santo, perché Lui è Santo.

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