Il consacrato: una persona che Dio vuole amare senza altri concorrenti (Il mondo rovesciato 1)
Riordinando alcune cartelle dedicate a convegni, conferenze, incontri formativi e varie, ci siamo imbattute in un file che, se pur datato – ma non troppo: è del 2015! – conserva una freschezza e attualità che si direbbe dettato ieri. Si tratta una conferenza tenuta da don Giuseppe Forlai¹ in occasione del Seminario di studio “Vita Consacrata: discernere il presente per costruire il futuro”, organizzato dall’Istituto di Teologia della Vita Consacrata “Claretianum” e le Edizioni San Paolo. Nel suo intervento don Forlai offre interessanti spunti di riflessione validi per il nostro oggi e che pertanto intendiamo riproporre a tappe – 4 post – attraverso le pagine del blog. Non si tratta di una rivisitazione della solita visione già scontata e risaputa e quindi innocua della vita religiosa. È proprio da questa prospettiva, divenuta ininfluente, che il relatore apre la riflessione.
Da anni ci stiamo dicendo che nella vita religiosa occidentale qualcosa non funziona più, e, dopo un disorientamento iniziale, siamo diventati impermeabili a queste analisi, tanto che i Progetti, le Assemblee e gli stessi Capitoli generali, non considerano più la «crisi» come un fatto imprescindibile, un punto di partenza, ma continuano nel loro iter consolidato dal tempo.
Don Forlai intitola la sua conferenza «Il mondo rovesciato»² perché cerca di osservare la vita religiosa al rovescio di come si è sempre fatto.
Perché rovesciato?
La gloriosa storia così ben significata dalle canonizzazioni dei nostri Fondatori e ancor più dalle «proprietà» degli istituti, dalle curie generalizie, dalle case di formazione, dalle opere apostoliche particolari cariche di onorificenze, riconoscimenti anche pubblici, oggi non fa più notizia, né in bene né in male. Negli anni ’80 su un grande complesso di un grande istituto religioso era stato scritto da una mano anonima: «Sulle vostre case pesa l’ipoteca dei poveri». Oggi nemmeno le nostre «ricchezze» fanno notizia.
La gente a malapena sa che esistiamo, e quando sa della nostra presenza ci cerca semplicemente per addomesticarci, per ricavarne un frutto. Lo dimostra un fatto delle ultime settimane: le scuole paritarie sono passate in pochi giorni dall’essere «invisibili» per il Governo – ricordiamo le due giornate dedicate alla grande manifestazione nazionale delle scuole paritarie a cui abbiamo voluto dare eco anche noi! (vedi qui), – al diventare un salvavita nel reperire spazi supplementari per gli studenti a causa delle regole anticovid.
Quindi non è più tempo di accogliere le sfide del mondo, perché al mondo non interessa più porci delle domande provocatorie, dice l’autore.
E allora la palla adesso è nelle nostre mani e il servizio tocca a noi, tocca a noi proporre le sfide. Che cosa vogliamo fare? Decidere di considerare conclusa la partita o proporre noi qualcosa al mondo, diventando intriganti e meno retorici?
Non serve a molto dover sempre rendere ragione della nostra fede, essere per forza notati per la nostra carità, dover essere continuamente messi alle corde per giustificare le nostre scelte, diventare attrattivi a tutti i costi. Noi consacrati esistiamo perché Dio ha cercato qualcuno da amare senza altri concorrenti. Noi esistiamo anche se non siamo sempre utili!
Quante energie fisiche, e non solo, vengono impiegate o sprecate nella illusione o nella fiducia di poter essere utili ancora un po’!
Siamo un po’ come la fotografia della famiglia messa sulla grande scrivania di un imprenditore importante. Su di essa ci sono telefoni, computer, iPad, IPhone, agende… tutte cose indispensabili per il suo lavoro. Tranne noi. La foto di famiglia non è funzionale al lavoro del manager, non fa andare meglio i suoi impegni, ma sicuramente rende più piacevole la giornata del capo.
Dio si rallegra, quando, guardando noi, riconosce lo stile del suo Figlio, in mezzo, vicino, mescolato alla gente, cioè incarnato. La vita consacrata diventa invisibile non perché il mondo ha rivolto altrove il proprio sguardo, ma perché ha cambiato stile, non è più maestra di carità, di sapere, ma vive l’incarnazione feriale.