I fioretti di don Vincenzo: Pane e zucchero
«Voi non pensateci, i soldi per la spesa o per le riparazioni dei guai fatti dai ragazzi non ce li mettete voi, dunque state tranquilla!», disse don Vincenzo chiudendo la porta dello studio mentre la perpetua ancora rossa in viso ritornava in cucina. Era stato particolarmente duro, quel giorno, don Vincenzo perché i ragazzi avevano superato la misura dell’accettabile nello sfasciare le sedie: rincorrendosi attorno al tavolo le mettevano in mezzo per ostacolare la corsa dell’altro, il quale con un calcio le spostava disastrosamente.
La misura, però, era riuscita a superarla anche la perpetua che aveva alzato la voce contro il parroco e con una mano sui fianchi e l’altra nell’aria in tono minaccioso non nascondeva le sue intenzioni di fargliela pagare a quei massacrasedie. Sicuramente non pensava al denaro, le sue erano altre.
Don Vincenzo però pensava concretamente alle riparazioni e a quanto gli sarebbero costate e sapeva che la sua perpetua non avrebbe sicuramente messo mano al borsellino. Ma c’erano anche la sporta del pane svuotata e la scatola dello zucchero senza più un granello, anche se erano stati comprati da poco e dovevano bastare per un po’.
Pagare il lavoro del falegname era un’opera di carità e di giustizia, ma rinunciare per alcuni giorni al pane e allo zucchero non avrebbe privato nessuno di un diritto, pensò don Vincenzo.
E così decise. Lui di qualche alimento poteva farne a meno, c’era sempre la polenta che poteva sostituire il pane… e poi il pane non c’era tutti i giorni sulle tavole dei poveri e chi era lui per non fare a meno? Il caffè, ovviamente d’orzo, si poteva bere anche amaro… e quanto amaro! Ma l’amaro, ricordava di aver detto a una suora, fa meglio del dolce!
Così diede indicazioni alla perpetua di non andare a fare rifornimento in bottega di quello che era terminato prima del previsto. Semplicemente lui ne faceva a meno: era servito ad altri e ne era felice.
Che bello, pensava, condividere non perché aveva fatto a metà con qualcuno, ma più semplicemente perché aveva lasciato che altri prendessero del suo senza esigerne la restituzione e godendo di esserne rimasto privato. Che bello poter condividere, anche se per scelta, gli stenti di tanti suoi parrocchiani, riuscire a rinunciare a qualcosa che per loro era un lusso e che sulla sua mensa era ormai diventato quasi d’obbligo.