Tempo di bilanci
Terminato il tempo di Natale, prima della festa di sant’Antonio abate con la benedizione di tutte le stalle del paese, c’erano, per il parroco, due settimane di tranquillità, il tempo giusto per aggiornare i conti, quelli dell’anno trascorso e fare dei preventivi per quello appena iniziato.
Don Vincenzo, nei pomeriggi, si recava dai fittavoli delle prebende parrocchiali e, registri alla mano, con una bottiglia di buon vino a fianco, «tiravano su i conti». Come parroco non era fiscale, ma non si lasciava nemmeno raggirare. Sapeva riconoscere dai numeri i raccolti buoni, ma anche quelli scarsi e quelli migliorabili. Non si soffermava su quelli negativi perché facevano già sentire il loro peso.
A sera, quando, prima di andare a dormire, si raccoglieva in preghiera, il pensiero andava alla sua vita personale di cristiano, di prete e di parroco, che era per lui l’«affare supremamente importante», come per i suoi contadini far progredire l’azienda.
«Vado avanti? Sono immobile? Sto retrocedendo?»
E provava grande consolazione se constatava che in qualche aspetto era migliorato, ma si umiliava e intristiva quando si rendeva conto che in altri era immobile, per poi rianimarsi e riempirsi il cuore di desideri di bene di fronte alle pigrizie che lo avevano assalito.
Ma se doveva tirare le somme, era disorientato sulla valutazione del proprio progresso spirituale.
«Però, pensava, io non potrò mai avere di me stesso e dei miei progressi o regressi nelle cose spirituali una cognizione certa ed esatta. Ciò dipende in parte da Dio, in parte da me.
Da parte di Dio, perché Egli non ostenta la sua azione in me e quindi non la posso conoscere; da parte mia, perché a volte la mia indole naturale e altre volte l’amor proprio o sono una benda che non mi fa vedere le cose come sono o come delle lenti che ingannevolmente gonfiano alcuni aspetti della mia vita».
E concludeva che fare dei bilanci sui suoi progressi si rivelava inutile e forse presuntuoso.
«Meglio per me è rimanere all’oscuro, pensava, perché mi serve mirabilmente a tenermi umile e docile alle ispirazioni dello Spirito santo e alle esortazioni del mio direttore.
Di più. Se da una parte arrivo a conoscere ciò che Dio fa per me, questo mi spinge ad amarlo di più e dall’altra, se non conosco ciò che faccio davvero per lui, mi incoraggia ad operare per lui con maggior disinteresse».
Quella sera chiuse il quadernetto, sul quale era solito annotare spunti di riflessione, senza scrivere nulla. Aveva preferito lasciare a Dio il compito di tirare le somme della sua vita fino a quel momento. Da parte sua si consegnava alla vita quotidiana e alla azione della grazia come un foglio in bianco, proprio come quello del suo quaderno…