Maria: un nome, una tradizione, una missione
La festa del nome di Maria, oggi memoria, come numerose altre feste è stata introdotta nel calendario liturgico della Chiesa in seguito alla vittoria riportata nel nome di Maria e per sua intercessione, contro i Turchi grazie all’alleanza fra l’imperatore Leopoldo I d’Austria e il re di Polonia Giovanni III Sobieski, la cui controffensiva portò alla liberazione della capitale austriaca dall’assedio nemico. Per commemorare questo evento i due sovrani cattolici fecero celebrare una messa solenne a Vienna, il 12 settembre del 1683. Il Pontefice Innocenzo XI, in memoria e grato del prodigio, estese questa festa mariana a tutta la Chiesa.
Nelle Scritture la persona è inseparabile dalla comunità cui appartiene e il «nome» rappresenta come un luogo d’incontro tra l’individuo, la famiglia che lo ha generato e il popolo cui tale famiglia appartiene. In questo senso, il «nome» manifesta una concezione della persona agli antipodi dell’individualismo occidentale: se oggi ognuno vale perché «si è fatto un nome», nella fede biblica ognuno vale perché è il frutto di una profonda comunione in cui il passato è un dono da accogliere per vivere con giustizia e rettitudine il futuro, e non una limitazione irragionevole della libertà di ciascuno.
Maria era il nome della sorella di Mosè, legata come il fratello alla storia della liberazione dall’Egitto, operata dal Signore. Maria di Nazareth a sua volta nel suo nome si scopre e si comprende come donna chiamata a vivere in relazione con Dio e a favore del suo popolo: corredentrice con il Figlio.
Oggi ancora, magari con meno consapevolezza e meno frequenza, i genitori, scegliendo il nome da dare ai propri figli, li inseriscono nella storia e nella tradizione della famiglia in cui vengono alla luce o della fede che professano o semplicemente nella cultura a cui appartengono. Si rinnova così e si perpetua una appartenenza che diventa anche missione.