Dammi un cuore che ascolta

«Quando ci capita di aiutare un altro a discernere la strada della sua vita, la prima cosa è ASCOLTARE» (CV 291).

Quando l’altro ci parla di quello che sta vivendo, delle sue aspirazioni, dei suoi timori, dei suoi sogni e dei suoi affanni, dei suoi affetti, occorrono grande rispetto e delicatezza.

Il n. 292 della Christus Vivit evidenzia che «si tratta di ascoltare l’altro che  CI STA DANDO SE STESSO nelle sue parole. Il segno di questo ascolto è il tempo che dedico all’altro. Non è una questione di quantità, ma che l’altro senta che il mio tempo è suo: il tempo di cui ha bisogno per esprimermi ciò che vuole. Deve sentire che lo ascolto incondizionatamente, senza offendermi, senza scandalizzarmi, senza irritarmi, senza stancarmi. Questo ascolto attento e disinteressato indica il valore che l’altra persona ha per noi, al di là delle sue idee e delle sue scelte di vita».

Le radici della missione dell’Istituto affondano proprio in questo tratto che caratterizzò il rapporto di San Vincenzo con i giovani delle sue parrocchie: emerse tra lui e la realtà giovanile una fitta rete di relazioni all’insegna della quotidianità e della familiarità, tratto che ha saputo e voluto che fosse proprio anche delle Figlie dell’Oratorio. La casa di don Vincenzo era il luogo dove i ragazzi potevano trovare ascolto, affetto e accoglienza. Mai Vincenzo si scandalizzò del loro comportamento, mai l’ira prevaricò nel suo cuore per le scelte dei «suoi» giovani, anche quando questi si mostravano turbolenti o irrequieti. Sempre invece trovarono in lui il desiderio di un contatto personale, libero da formalità, perché la conoscenza fosse diretta ed esprimesse l’attenzione e l’interesse per la persona concreta.

Il suo intento era quello di farne persone integre e responsabili, capaci di spendere la loro vita al servizio di Dio e del suo regno. 

Per questo non rinunciava ad «ascoltare gli impulsi che l’altro sperimenta in avanti. È l’ascolto profondo di dove vuole andare veramente l’altro» (CV 294). Vincenzo offrì la propria disponibilità al mondo dei giovani e delle giovani che si avviavano nella scelta dello stato di vita, e lo fece con discernimento, «domandandosi che cosa mi sta dicendo esattamente quella persona, che cosa mi vuole dire, che cosa desidera che io capisca di ciò che le sta succedendo. È un ascolto volto a discernere le parole salvifiche dello Spirito Buono, che ci propone la verità del Signore, ma anche dello spirito cattivo, i suoi inganni e le sue seduzioni. Bisogna avere il coraggio, l’affetto e la delicatezza necessari per aiutare l’altro a riconoscere la verità e gli inganni o i pretesti» (CV 293).

Lui li aveva. Come ebbe la capacità di «suscitare e accompagnare processi, non imporre percorsi (CV 297) perché «per accompagnare gli altri in questo cammino, è necessario anzitutto essere esercitato a percorrerlo in prima persona, affrontando le proprie domande e le proprie difficoltà» (CV 298).

Il Signore ci doni un cuore che ascolta, mosso dal desiderio di aprirsi ad ogni giovane che incontriamo sul nostro cammino, e ci doni di iniziare dall’ascolto di noi stesse, di quanto ci si muove dentro, senza darlo mai per scontato. Rischieremmo di perderlo senza nemmeno rendercene conto, diventando così sale insipido e inutile.

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