Dalla scorza al nocciolo
«La pastorale giovanile, così come eravamo abituati a portarla avanti, ha subito l’assalto dei cambiamenti sociali e culturali. I giovani, nelle strutture consuete, spesso non trovano risposte alle loro inquietudini, alle loro esigenze, alle loro problematiche e alle loro ferite» (CV 202).
Probabilmente il mondo adulto si trova spiazzato davanti a quello giovanile perché non sa di preciso in cosa consistano queste inquietudini, esigenze, problematiche e ferite che vivono i ragazzi di oggi. È evidente che non ci si improvvisa educatori o evangelizzatori. Sono necessari passione, studio, confronto e approfondimento per conoscere meglio la realtà giovanile e la cultura attuale, come dicono anche le nostre Costituzioni al n. 61: «L’Istituto favorisce la preparazione religiosa, tecnica e culturale delle Suore impegnate nei vari campi e ne sostiene la volontà di rinnovamento e aggiornamento, perché possano realizzare con competenza la loro missione».
Ma resta vero allo stesso tempo che «Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre» (Eb 13, 8). Il mondo è cambiato, i giovani sono cambiati, le strutture consuete di conseguenza vanno cambiate, ci dobbiamo senz’altro aggiornare. Ma la sete del cuore dell’uomo è sempre la stessa: l’amore! Non corriamo il rischio, di fare operazioni di maquillage alle nostre strutture e sovrastrutture perdendo però di vista la radice, il nocciolo che sostiene e dà senso a tutto il resto: il Vangelo sine glossa! Ecco l’importanza di tornare al «primo annuncio», di avvicinare i giovani (e non solo) al centro del messaggio cristiano, all’esperienza fondante dell’incontro con Dio attraverso Cristo morto e risorto, per farli sentire accolti e amati per quello che sono, senza condizioni, senza se e senza ma.
«Bisogna avvicinarsi ai giovani con la grammatica dell’amore, non con il proselitismo. Il linguaggio che i giovani comprendono è quello di coloro che danno la vita, che sono lì a causa loro e per loro, e di coloro che, nonostante i propri limiti e le proprie debolezze, si sforzano di vivere la fede in modo coerente» (CV 211).
Se non comunichiamo esperienze e non offriamo ai giovani occasioni forti di incontro con la Buona Notizia non ci sarà crescita nella fede né cambiamento interiore, ma solo indottrinamento, socializzazione religiosa e sacramentalizzazione. La sfida è quella di offrire esperienze capaci di suscitare l’adesione a Gesù, di scoprire o ri-scoprire il Vangelo, di ridare vivacità al proprio essere cristiani e non viverlo come una convenzione sociale o come un peso da portare. Cristiani non si nasce, lo si diventa, diceva Tertulliano. E lo si diventa nella misura in cui c’è la scoperta-rivelazione di un Tu che amandoti ti libera e ti salva dal non senso.
La Christus Vivit al n. 212 ci mette in guardia su alcune derive in cui potremmo incappare: «In alcuni luoghi accade che, dopo aver provocato nei giovani un’intensa esperienza di Dio, un incontro con Gesù che ha toccato il loro cuore, vengono loro proposti incontri di “formazione” nei quali si affrontano solo questioni dottrinali e morali: sui mali del mondo di oggi, sulla Chiesa, sulla dottrina sociale, sulla castità, sul matrimonio, sul controllo delle nascite e altri temi. Il risultato è che molti giovani si annoiano, perdono il fuoco dell’incontro con Cristo e la gioia di seguirlo, molti abbandonano il cammino, altri diventano tristi e negativi. Plachiamo l’ansia di trasmettere una gran quantità di contenuti dottrinali e, soprattutto, cerchiamo di suscitare e radicare le grandi esperienze che sostengono la vita cristiana».
Il nostro cuore e il nostro agire possono riposare nella certezza che «non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio. Tutta la formazione cristiana è prima di tutto l’approfondimento del kerigma che va facendosi carne sempre più e sempre meglio» (CV 214).
”Se non comunichiamo esperienze e non offriamo ai giovani occasioni forti di incontro con la Buona Notizia non ci sarà crescita nella fede né cambiamento interiore, ma solo indottrinamento, socializzazione religiosa e sacramentalizzazione. La sfida è quella di offrire esperienze capaci di suscitare l’adesione a Gesù, di scoprire o ri-scoprire il Vangelo, di ridare vivacità al proprio essere cristiani e non viverlo come una convenzione sociale o come un peso da portare. Cristiani non si nasce, lo si diventa, diceva Tertulliano. E lo si diventa nella misura in cui c’è la scoperta-rivelazione di un Tu che amandoti ti libera e ti salva dal non senso.”
Com’è bello leggerlo, perché quando noi giovani diamo fiducia a qualcuno, ci aspettiamo lo stesso, non perché dare significa che devono restituirci, piuttosto perché fa parte del sentirsi amati e apprezzati.
Ed è per creare relazioni, dalla fragilità umana, per condividere tutto….
Questo è il senso del cristianesimo e della chiesa.
Grazie per l’articolo, un abbraccio Suore.