«Godo che facciano bene…»
Nella corrispondenza le sue espressioni di gaudio introducono generalmente dei veri e propri sommari sulla vita delle comunità e dell’Istituto. Don Vincenzo scrive frequentemente «Godo che le sorelle facciano bene» (Lettera del 24.10 senza anno) e, poiché è ricorrente, potrebbe sembrare una formula di rito, mentre in realtà racchiude un significato pregnante.
Nella conclusione di una lettera dove magari erano state trattate questioni complesse di carattere organizzativo ed economico, l’espressione «Godo che le sorelle facciano bene» cambia totalmente lo scenario. I toni si distendono, il linguaggio diventa morbido, le parole sembrano carezze, e l’animo con i suoi tumulti e i suoi impeti si placa. «Ne sia ringraziato il Signore!», gli sfugge dalla penna, quasi aspettasse da tempo qualche notizia che non fosse solo annunciatrice di problemi (30.11.1902).
Quando riceve delle lettere che raccontano che le suore «fanno bene», lo spirito di don Vincenzo si commuove, le sue viscere di padre sussultano e il gaudio che sperimenta diventa benedizione e ringraziamento, conferma e incoraggiamento: fiducia in Dio e fiducia nelle persone.
Nella corrispondenza don Vincenzo non si sofferma sui dettagli che gli procurano tale godimento; generalmente non sembrano attribuibili a un fatto particolare, ma mettono in luce uno stile, un modus vivendi. Ledovina Scaglioni (6.12.1905) o Taddea Tarozzi, visitando le comunità gli riportano le impressioni e ne fanno un resoconto; Angela Paternieri, a cui è stata affidata la formazione delle Novizie, lo aggiorna sui progressi; qualche superiora lo informa sull’andamento della comunità e sulle opere che vi si svolgono. Altre volte le buone notizie possono essere la salute, la concordia, la pace, e l’armonia (3.03.1903; 2.12 s.a.) che si vive nelle comunità, ma anche una buona disposizione all’apostolato a cui le suore sono chiamate (1.02.1901).
Sono notizie che lo gratificano delle tante energie umane e spirituali che egli ha speso per la fondazione.
Don Vincenzo, però, non si chiude sterilmente in questa soddisfazione spirituale, il suo pensiero va subito oltre. «Godo delle vostre buone notizie. Ma soprannaturali siano i vostri fini» (14.08.1917) scrive, e in un’altra, dopo aver espresso il suo gaudio, esorta con queste parole: «Lavorate nel Signore ed avanti» (8.11.1912); oppure invita Ledovina a incoraggiare le suore «a fare sempre meglio e… perché siano piene di buona volontà di far del bene» (24.10 s.a.; 2.12 s.a.).
Conferma e incoraggia, «giovani e vecchie», le prime leve ma anche le ultime arrivate, a proseguire e a migliorare e auspica per tutte la benedizione di Dio perché conservi in ognuna la volontà non solo di continuare, ma anche di migliorare (28.03.1901; 1.02.1901).
Implora ogni bene dal Signore a loro favore, ma vorrebbe che la benevolenza del Signore andasse oltre e accondiscendesse i suoi desideri di bene per loro (26.03.1905).
Fonte di consolazione sono per lui anche le informazioni che si riferiscono alle Novizie ( 4.03.1912).
Non era scontato riceverne, perché il Noviziato è tempo di discernimento per verificare la bontà e la fondatezza delle motivazioni della vocazione di ciascuna, per riconoscere la presenza dei requisiti indispensabili per vivere in comunità, per professare i voti e svolgere la missione. La novità del nuovo Istituto, infatti, richiamava molte giovani e non più giovani, per cui occorreva un serio discernimento per tutte le nuove reclute. E quando gli viene riferito che «le novizie fanno bene» (12.06.1901) non trattiene la sua gioia, il suo compiacimento, perché vede uno sviluppo futuro della sua istituzione. Ma perché la formatrice non si attribuisca il merito di tale progresso, aggiunge una calda raccomandazione, quella cioè a essere migliore lei stessa, perché, se così fosse, l’avanzamento spirituale delle novizie ne avrebbe vantaggio.(21.12.1912).