“Ecco, io faccio una cosa nuova”
«Dalle radici smarrite ai germogli inediti»: così ha titolato la sua relazione al Convegno del Claretianum il prof. Amedeo Cencini. E tutta la sua relazione è stato un portare i presenti a cogliere i nuovi germogli presenti nella vita della Chiesa, con una attenzione particolare al tema della vocazione.
Nel variegato panorama europeo della fede che padre Cencini ha descritto all’inizio della sua corposa e provocatrice relazione sulla questione della crisi vocazionale in Europa, emerge un aspetto comune: la diffusione sempre più allargata di un «agnosticismo pacifico». In altre parole: la vita può essere vissuta tranquillamente anche senza Dio. La fede è già da ora considerata «una possibilità fra le tante», ed è ritenuto scontato che non è necessario essere credenti per vivere umanamente bene la propria vita.
La vita consacrata è dunque chiamata a confrontarsi con questo dato di fatto quotidiano, perché, secondo Cencini, la crisi delle vocazioni è legata a questa realtà agnostica, oltre che alla perdita di contatto da parte della Chiesa con la generazione giovanile. E sarà sempre più così.
Ma gli effetti non sono del tutto negativi, ha rassicurato padre Cencini, perché egli è convinto che questa situazione aprirà la strada ad una grande trasformazione storico-culturale. Si giungerà, infatti, alla fede non per trasmissione, ma per conversione e convinzione. Il cristianesimo del futuro molto prossimo «non sarà più il cristianesimo dell’obbligo e di massa, ma della grazia e della libertà» a cui la persona arriva attraverso un cammino individuale di proposta e risposta. Diventano così di nuovo attuali le parole di Tertulliano: «Cristiani non si nasce, cristiani si diventa».
Ora è il tempo, diceva padre Cencini, dello «smaltimento» dei cattolici per anagrafe, dei cattolici dell’osservanza, della tradizione, della convenienza, dell’obbligo.
Ma il relatore ha ribadito con forza che «non è la fine del cristianesimo, bensì di un certo cristianesimo». Infatti si domandava: «Come voler continuare a rimanere oggi nella logica di un Dio-padrone che vuole sudditi ubbidienti e sottomessi?».
Analogamente, aggiungeva, non è la fine della vita consacrata, ma «di una certa vita consacrata».
Purtroppo però gli istituti religiosi cercano ancora vocazioni per conservare le opere e il carisma. Ma questo non produce vocazioni perché risponde alla logica della conservazione della fede. E oggi, tra i giovani,- e non solo! – non c’è più questa tipologia di fede.
Eppure, informava padre Cencini, condividendo alcuni dati emersi al Congresso Vocazionale europeo svoltosi a i Tirana dal 28 febbraio al 3 marzo 2018, questo è in assoluto il tempo con il maggior numero di vocazioni e di consacrati nella Chiesa, vocazioni laicali e nuove forme di vita consacrata. Tutte legate e orientate all’annuncio missionario della fede, alla logica che non dà più per scontata la fede, ma che propone cammini di fede partendo dal primo annuncio e provocando un cammino di adesione libera e responsabile.
Il venir meno, allora, di un certo modello aulico di vita consacrata, la contrazione numerica, la diminuzione di vocazioni diventano eventi da cui lasciarsi «formare, situazioni da accettare e da vivere, come opportunità», suggeriva il relatore. Solo attraverso l’ingresso in questa «novità» sarà possibile continuare a dire la bellezza di Dio e di essere consacrati a Lui.
Anche l’attuale cambio culturale che interessa la fede e che ha creato inevitabilmente una distanza tra la vita consacrata e il mondo giovanile, che vive più di tutti questo cambio, spinge a ripensare il nostro rapporto con tale mondo giovanile: «Come dire Dio a uno che non ne avverte la necessità e come attivare nel giovane la capacità di scelta?»
E ha annunciato, per il presente, alcune prospettive per entrare nella logica del primo annuncio.
Cencini vede la proposta vocazionale non come una opportunità finale per i più aperti, i più buoni. Non ci si può, poi, lamentare dell’esiguità delle risposte quando si pongono delle premesse che restringono l’ambito del bacino vocazionale.
«La chiamata fa parte del primo annuncio». Gesù ha chiamato i dodici per stare con Lui, per istruirli e per inviarli.
L’invito è a non fermarsi al modello di proposta vocazionale «creativo», che considera la vocazione come l’attuazione del progetto di Dio su di me, una vocazione quindi autoreferenziale, ma ad entrare nel modello «redentivo».
Salvati dalla Croce di Gesù, siamo resi capaci e chiamati a fare la stessa cosa che Gesù ha fatto in croce: farci carico della salvezza di un altro. La vocazione cristiana, infatti, è sempre in funzione degli altri.
Questa proposta vocazionale è sicuramente molto più efficace, più forte, più pressante, più in linea con la sensibilità umana e giovanile.
La relazione ha poi toccato altri aspetti importanti di metodo, come il Discernimento e la sensibilità vocazionale. Riassumerli in poche righe, avrebbe il rischio di banalizzarli e sminuirne la portata. Rimandiamo, chi fosse interessato, alla relazione di padre Cencini che sarà pubblicata integralmente negli Atti del Convegno che il Claretianum curerà per l’Editrice Àncora.
Grazie di questa opera di “buona informazione” che viene svolta attraverso il blog.
Il post attuale mi suscita una certa serenità perché, forse, lo Spirito soffia più forte di quanto spesso noi lo percepiamo.
Sicuramente lo Spirito di Dio non si farà mai imprigionare nei nostri schemi organizzativi-economici con cui gestiamo le nostre comunità, altrimenti non avrebbe mai scelto di entrare nel mondo come un bambino emarginato.
Le “nuove” vocazioni a cui si fa accenno nel post, a mio avviso ci fa assaporare che abbiamo molto da imparare e da meditare sulla creatività di Dio.
Buon Natale care amiche Figlie dell’Oratorio, con l’augurio che nell’andare ad adorare il bambino Gesù possiamo gustare uno stupore nuovo da cui possano nascere nuovi “progetti”.