Dal Congresso alcune riflessioni personalizzate
Nell’ultima parte del Congresso, attraverso un excursus storico, sono state illustrate delle prospettive educative in chiave salesiana. Partendo proprio da tale condivisione, come Redazione del blog abbiamo voluto rileggere le «linee educative» consegnateci dal nostro Fondatore, don Vincenzo, e dalle prime suore, linee che non sono mai confluite, come per i salesiani, in un «sistema educativo», ma che hanno comunque caratterizzato un modo proprio di approcciare la gioventù da parte delle Figlie dell’Oratorio lungo i cento anni e più di servizio accanto ai giovani.
Le scelte
Nell’ultima fase del Convegno, ricercatori si sono domandati come don Bosco e Madre Mazzarello educavano i giovani? Come la loro esperienza può interpellarci oggi?
Ricorrendo alle fonti (scritti di don Bosco e della Mazzarello) i relatori hanno fatto emergere, molto sinteticamente i seguenti tratti:
- Ogni giovane deve essere visto con sguardo ottimista.
- Quando i giovani hanno qualcuno accanto che li consiglia ed aiuta a vivere bene, possono cambiare vita.
- L’educatore deve essere discreto, paziente, attento e «in rete» con gli altri educatori.
È ovvio che ogni fondatore vive nella concretezza del suo tempo e dei luoghi particolari sociali ed ecclesiali, ma nel carisma di fondazione ci sono sicuramente aspetti che trascendono il contesto, che devono essere riscoperti ed attualizzati.
Illuminate e provocate dalla lettura che i relatori hanno fatto di don Bosco e di Madre Mazzarello, ripercorriamo a grandi linee l’esperienza dei nostri Fondatori (con questa espressione vogliamo comprendere insieme a san Vincenzo suor Maria Caccialanza e Madre Ledovina, le prime collaboratrici dirette del Fondatore) scoprendo che hanno con i santi piemontesi e il loro carisma molti punti in comune: comuni sono i destinatari e soprattutto i principi ispiratori evangelici e pedagogici.
L’opera di Don Vincenzo a favore dei giovani non regge il confronto con le strutture e le iniziative di don Bosco, ma non è un motivo per temere l’accostamento. Infatti, don Vincenzo, come parroco, con i giovani dei piccoli centri rurali della bassa aveva cercato in ogni modo di stabilire una fitta rete di relazioni all’insegna della quotidianità e della familiarità, coordinate che rimandano all’esperienza della «casa». Don Vincenzo concretizzò questo suo carisma nella sollecitudine paterna e premurosa di fronte alla loro fragilità attraverso la porta della canonica sempre aperta, l’accoglienza a qualunque ora e l’accompagnamento personalizzato. La sua vicinanza lasciava intendere la ricerca di un contatto familiare, sgombro da formalità, ma non banale, dove la conoscenza fosse diretta ed esprimesse l’attenzione e l’interessamento alla persona concreta, al suo cammino di fede e umano.
Dalle lettere circolari di Madre Ledovina Scaglioni, cofondatrice, emerge come ella consideri tutte le ragazze «amate e benedette da Dio, redente da Lui con il suo Sangue!». Nel suo compito di interpretare e trasmettere il carisma apostolico dell’Istituto riassunse la sollecitudine che doveva animare le suore in questo modo: «Amiamo questa cara gioventù secondo lo spirito di san Filippo Neri il cui amore verso Dio era come la calamita che attirava a sé tutti per condurli a sua volta a Dio».
Alle suore che presentavano situazioni di fatica e di ingratitudine, che vedevano le giovani spensierate e distratte, prima di attribuire gli insuccessi apostolici ai caratteri delle ragazze, esortava ad avere uno sguardo positivo su di loro con queste parole: «Amiamole teneramente queste fanciulle, senza pretesa di essere riamate, amiamole con sacrificio e con l’immolazione di tutti i nostri gusti, amiamole come e quanto le amò Gesù Cristo che prima di noi le redense con il suo Sangue!». Se ci doveva essere una preferenza ella la suggeriva per le più povere, le più dimenticate, le più fredde e ingrate. E aggiungeva di vigilare sulle proprie parole, o contegno poco riservato, o condotta superficiale perché le ragazze sono attente osservatrici di quello che avviene intorno a loro. Per cui raccomandava il buon esempio che è più efficace delle molte chiacchiere.
Ella riconosceva nello spirito semplice e cordiale, unito a grande prudenza e carità, la forza per guadagnare il cuore della gioventù, specialmente la più povera. E tutto ciò in santa letizia e con costante giovialità.
Riteneva, infatti, che la gioia rivela ciò che c’è nel cuore, per cui considerava inscindibile l’amore per Dio e per la gioventù dalla gioia.
La vita e le parole di don Vincenzo e Madre Ledovina dicono anche a noi oggi che gli educatori devono ispirare confidenza, incoraggiare, farsi prossimi, prendersi cura, ascoltare, far sentire la paternità e la maternità spirituale, accogliere incondizionatamente, fidarsi dei giovani, essere testimoni credibili di vita, dare il buon esempio, essere coerenti ed educarsi ed educare all’interiorità e all’autenticità: sono queste ed altre ancora, quante suggerite dallo spirito, le declinazioni del «guadagnare il cuore delle giovani».
I nostri Fondatori non ci hanno lasciato ricette preconfezionate per educare, ma una testimonianza che nel corso degli anni si è concretizzata in uno stile che ha accompagnato le diverse attività e che è diventata come una pedagogia pratica.