Cuore aperto sul Sinodo (7)
Torna e ritorna, senza nessuno sconto, il tema della credibilità della Chiesa e dei suoi pastori. «Se la Chiesa ha poca credibilità, come può parlare ai giovani?», ha chiesto oggi il vescovo ausiliare di Los Angeles, mons. Robert Emmet Barron.
Quando una persona è credibile? E cosa significa che lo sia la Chiesa? Certamente gli scandali al suo interno, in primis quelli provocati dagli abusi, ma anche quelli di mondanità e attaccamento a valori che non sono evangelici, le fanno perdere terreno e fiducia.
In tanti modi e facendo riferimento ad ambiti diversi, i giovani ci stanno dicendo che sono stanchi di vedere uomini e donne che hanno scelto come Maestro di vita Cristo e il suo Vangelo, ma che sono totalmente uniformati alla mentalità di questo mondo. Ci stanno dicendo che se nel mondo le logiche vincenti sono quelle del potere, della ricchezza e della prevaricazione, nella chiesa vogliono vedere persone capaci di incarnare uno stile diverso, che mette al centro il servizio, la povertà evangelica e l’umiltà.
È stato detto che «la Chiesa deve essere un luogo dove regna l’inquietudine. Deve essere risvegliata, non sopita». Il rischio di adeguarsi al «così fan tutti», di anestetizzarsi davanti a scelte che non hanno nulla di evangelico, di conformarsi a uno stile mondano, è tutt’altro che distante. Serve coltivare il senso critico nei confronti della cultura dominante, per evitare di farsi fagocitare da essa.
Solo rimettendo al centro il Vangelo sarà possibile recuperare quella credibilità che tanto cercano i giovani. Solo se il ministero (di qualsiasi tipo, non solo ordinato) e il discepolato non saranno più scissi – come se per avere un ruolo nella chiesa non fosse necessario innanzitutto essere discepoli di Gesù – potremo essere credibili. E come diceva indimenticabile don Tonino Bello: «Solo se avremo servito potremo parlare e saremo creduti».