Dai segni al… «Segno»
Don Vincenzo è stato un prete all’antica, più ancora dei suoi tempi, ma non in tutto e non sempre. Ha vissuto, infatti, con una singolare fantasia e forse un po’ di genialità alcune scelte importanti nelle quali ha investito la maggior parte delle sue energie umane e spirituali. Lo ha fatto con una libertà e creatività che hanno avuto del sorprendente e non poco. La novità di don Vincenzo, infatti, non è stata la fondazione di un istituto religioso femminile – molti ne sorsero contemporaneamente al suo – ma la modalità con cui si è lasciato impressionare dallo «stato di cose» che stavano accadendo sotto gli occhi di tutti, di andare incontro a tali criticità con l’energia di chi sente un fuoco incontenibile che gli brucia nelle vene e di affrontarle con le risorse che è riuscito a scorgere nonostante le oscurità dei tempi. «Tutti vedono e deplorano i pericoli…», scrisse Mons Bonomelli nel proemio alle regole che don Vincenzo gli inviò. La gravità della situazione chiedeva, però, di passare dalle parole ai fatti, dalle emozioni alle azioni, dalle analisi alle iniziative. Don Vincenzo avvertì che il fuoco che sentiva dentro di sé veniva da Dio che gli chiedeva una intraprendenza inedita davanti ai tempi difficili. Consapevole che si trattava di una «missione», provò ad affrontare «i pericoli» così deplorati da tutti coniugando spiritualità ed originalità. Organizzò una forma di cooperazione al femminile a favore dei parroci, che aveva i cardini nella preghiera e nella disponibilità, e la promozione dell’educazione cristiana della gioventù femminile secondo uno stile di invisibilità, che rimandava ad una «spiritualità dell’interiore». Quali sono stati i fatti, sotto gli occhi di tutti, che hanno impressionato don Vincenzo e in che modo? L’insediamento in Italia del nuovo Regno nel 1861 portò forti venti di persecuzione. Nell’intento di ridurre l’influenza della Chiesa nel nuovo assetto politico e di toglierle significatività di fronte alle comunità cristiane, furono soppressi tutti gli ordini religiosi e altri enti ecclesiastici. In questo modo venne destabilizzato l’assetto pastorale, educativo e spirituale dei territori. E quando nel 1890 fu abolita l’obbligatorietà dell’insegnamento della religione nelle scuole primarie ed eliminate le facoltà di Teologia dalle Università, la Chiesa venne estromessa totalmente dall’educazione cristiana della gioventù. Si stava disintegrando il tessuto cristiano della popolazione.Quanti sacerdoti come don Vincenzo vedevano e deploravano, come scriveva il suo vescovo, e ognuno si poneva di fronte a tali «fatti» con una consapevolezza diversa. C’erano gli osservatori distaccati che assistevano allo scorrere degli eventi restandone al margine. Quelli che dalle cattedre facevano della teoria su fatti e persone, producendo fiumi di parole. E ci furono quanti rimasero colpiti dallo «stato di cose» che le circostanze epocali producevano e in queste «cose» scoprirono la loro missione. Don Vincenzo appartenne a questa ultima categoria. L’«impressione» che ricevette si trasformò in emozione e arrivò al cuore come una freccia al bersaglio. Gli eventi cessavano di essere fatti di cronaca, una convergenza socio-culturale e assumevano il linguaggio di «segno», di chiamata interiore. Furono colpite la sua coscienza, la sua volontà, e i fatti divennero la “terra sacra” che Dio in persona chiamava a calpestare. Dio gli parlava dallo «stato di cose» che scorrevano sotto i suoi occhi, come aveva parlato a Mosè attraverso il roveto che bruciava senza consumarsi. Don Vincenzo capì che proprio la realtà femminile ancora emarginata e sottovalutata poteva essere una forza nuova da mettere in campo e costituì piccoli gruppi di donne consacrate che cooperassero da vicino con i parroci nella parrocchia, mescolandosi con la gente, nel lavoro, nelle abitazioni, come nella frequenza alla chiesa. Alla sfida del nuovo governo di voler ridurre l’influenza della chiesa nell’educazione cristiana, don Vincenzo rispose con l’invisibilità delle suore, vere religiose nel cuore, per salvaguardare la loro libertà di azione tra la gioventù e nell’insegnamento; non volle per loro abito religioso, né titoli tipici del gergo ecclesiale e curò l’acquisizione di titoli di studio perché potessero essere abilitate all’insegnamento pubblico e privato. Dettagli di forma? Forse, ma in linea con una profonda lettura pastorale dei «segni» e una creativa attenzione ai tempi che chiedevano di essere semplici come colombe ed astuti come serpenti.
Grande San Vincenzo! Non ha evitato, come si dice nella lettera apostolica “Gaudete te exultate” il “confronto con la libertà dello Spirito, che agisce come vuole “. Ha “coltivato una disposizione ad ascoltare: il Signore, gli altri la realtà stessa che sempre interpella in nuovi modi “. “ Si è reso realmente disponibile ad accogliere una chiamata che ha rotto le sue sicurezze, gli ha dato la libertà di rinunciare ai propri schemi per accogliere quel che Dio gli stava offrendo “ cfr Gaudete et exsultate n 172. “ E oggi noi possiamo dire grazie per averci lasciato questa eredità e chiedere fedeltà e costanza.